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Intervista: Caterina Salvadori, da sceneggiatrice per hobby al Premio Flaiano

Ho conosciuto Caterina diversi anni fa. Aveva una videocamera, inseparabile, con cui realizzava riprese per un evento. Sono bastati pochi minuti di chiacchierata per conoscere una ragazza piena di passione, entusiasmo e competenze.Intervista: Caterina Salvadori, da sceneggiatrice per hobby al Premio Flaiano Caterina Salvadori sul red carpet del Premio Flaiano

La ritrovo nel 2019, professionista ormai formata, con un curriculum di tutto rispetto e fresca di vittoria della prima edizione del Premio Flaiano Giovani. L’occasione è ghiotta per condividere con lei molti aspetti del suo lavoro.

Alla tua giovane età, come ci si sente a vincere un premio così prestigioso come il Premio Flaiano?

E’ stata una grandissima sorpresa, non me lo aspettavo. Sono onoratissima, quando mi hanno chiamata per darmi la notizia non ci potevo credere, pensavo addirittura che si fossero sbagliati. Si tratta di un bell’incentivo, perché si tratta di un mestiere [quello dello sceneggiatore, NdR] molto difficile, è un campo complicato. Avere un riconoscimento del genere ti fa continuare ad avere fiducia e metterci tanta energia. Ci vuole sempre tanto impegno e non sai mai quale progetto andrà effettivamente in porto, la fatica è tanta e ricevere un premio del genere ti fa capire che i tuoi sforzi non sono vani.

Quando hai scelto di diventare sceneggiatrice?

Per me si è trattato di un percorso: a 18 anni ero appassionata di teatro e mi dilettavo a scrivere dei piccoli testi, appunto, teatrali da recitare in un piccolo corso che stavo frequentando. E anche prima di ciò la scrittura era il mio mezzo espressivo, la mia forma principale di comunicazione e di introspezione. Non avevo mai considerato l’opportunità di trasformarla in una professione. Dopodiché ho cominciato a studiare cinema perché mi piacevano l’immagine, la fotografia, che per me è un’arte che unisce tutte le altre in una sola. Durante gli studi ho realizzato che la scrittura era ciò che sentivo più vicino. Non posso identificare quindi un momento preciso per la mia scelta: ho cominciato a scrivere sceneggiature per dei cortometraggi che ho poi diretto, constatando che scrivere mi piaceva davvero tantissimo.

Parlaci della tua esperienza alla regia…

La regia l’ho un po’ trascurata, perché ho cominciato a scrivere e questo mi ha portato ben presto a trovare lavoro nel campo della sceneggiatura. Ho quindi avuto sempre meno tempo da dedicare a quella attività. Non ti nascondo poi che c’è stato anche un motivo economico: quando realizzi delle opere, anche semplicemente dei cortometraggi, ti servono sempre finanziamenti. Quella della regia, però, è una strada che voglio approfondire: mi sono sempre divertita moltissimo nelle cose che ho girato.

Veniamo al tuo percorso da sceneggiatrice: i progetti che hai seguito e la tua crescita

Ho approcciato la sceneggiatura a 19 anni, quando ho scritto il mio primo lungometraggio. Ero una pazza, rileggendolo ora è un vero disastro, ma ero motivatissima. Dopodiché contattai uno sceneggiatore di Bologna, Fabio Bonifacci [sue le sceneggiature di moltissimi film, tra cui Benvenuti al Nord, Benvenuto Presidente!, Il Principe abusivo, NdR] e gli chiesi di fare pratica con lui. Ho poi cominciato a lavorare con lui come assistente ed è stato divertente: si partiva con l’ideazione della storia, attraverso una fase di brainstorming. Le idee, in fondo, in sceneggiatura non mancano mai, così come le storie, la sfida è organizzarle in una struttura narrativa. Col tempo ho imparato a gestire la creatività, perché quando diventa una professione devi essere in grado di scrivere bene in qualunque momento della giornata, dovendo rispettare delle scadenze precise. Attraverso la scrittura, devo dirlo, ho imparato anche a conoscere me stessa.

Secondo la tua esperienza, è più difficile lavorare su testi originali o su adattamenti?

Dipende dall’adattamento, è diverso quello letterario rispetto a un lavoro teatrale. Adesso ad esempio sto lavorando sulla sceneggiatura di un film tratto da un romanzo di Gesualdo Bufalino, che ha uno stile di scrittura bellissimo, ricchissimo: trasformarlo in un film rendendo non solo la storia ma la sua visione, la sua estetica, la sua poetica è stato davvero complicato, probabilmente più che scrivere un film originale, perché certe sensazioni che vengono lì rese attraverso la prosa, così come le contorsioni mentali del protagonista, sono davvero molto complesse da trasporre.

Altre volte, però, l’adattamento può essere un vantaggio in presenza di opere con una struttura narrativa definita. Dipende molto dal materiale con cui si ha a che fare.

Nei film originali, determinante è la base di partenza. Se si parte con un’idea forte, intendendo l’idea di storia narrativa oltre naturalmente al concept, diventa facile. Nel caso in cui, invece la storia sia confusa o poco interessante, risulta difficilissimo, quasi un’epopea scrivere e far germogliare quella piccola storia.

E’ possibile per uno sceneggiatore lasciare un’impronta caratteristica pur nella rigidità imposta dalla scrittura cinematografica?

Ogni scrittore ha il suo stile, nelle battute, nei concetti. Ma dipende anche da cosa si fa, per alcuni autori è più evidente lo stile, per altri magari si perde un po’ di più nel genere. In generale però penso che sia possibile far riconoscera la penna e dare la propria impronta a un film.

Ci sono dei punti di riferimento, dei “mostri sacri” cui ti sei ispirata?

Di “mostri sacri” ce ne sono tantissimi: a me ad esempio piace moltissimo il cinema degli anni ‘70, anche se non c’entra nulla con quello che scrivo. Adoro Coppola, Scorsese e mi appassiona il genere surreale, in particolare Michel Gondry, sono splendidi sia L’arte del sogno che il più recente Mood Indigo, che hanno anche una forte carica simbolica. Penso anche a Wes Anderson, altro autore che apprezzo moltissimo. Sono punti di riferimento molto lontani tra loro, ma come ho già detto ciò che apprezzo da guardare non si riflette necessariamente nel mio stile di scrittura.

C’è un lavoro al quale sei particolarmente affezionata?

Sì, ce n’è uno, ma non è ancora uscito né è ancora in produzione: ce l’ho nel cassetto.

E questo ci rende curiosi: cosa bolle in pentola?

Diversi soggetti cinematografici, in particolare due in cui credo molto. Spero di trovare nell’immediato futuro una produzione che abbia voglia di accompagnarmi in questo viaggio. Magari, nei tempi dovuti, potrei anche esordire nella regia di un lungometraggio. Certo ho voglia e bisogno di crescere in quel campo prima di un traguardo del genere.

Nel 2020, intanto, usciranno due film che ho scritto.

Parlando di Netflix, cosa pensi della diffusione delle piattaforme di streaming? Sono un’opportunità in più per gli sceneggiatori emergenti o la pletora di nuove uscite diluisce talmente tanto i contenuti da rendere minore l’impegno su un singolo lavoro?

In realtà sono vere entrambe le cose. Per me collaborare con Netflix ha rappresentato una grande opportunità, perché sono stati tra i primi a darmi la possibilità di sviluppare un film come sceneggiatrice. Queste piattaforme sono una grande opportunità per i giovani, anche per sperimentarsi. E’ chiaro che c’è in atto una guerra tra esse e le case di produzione cinematografica perché stanno cambiando lo scenario del cinema e con esso la professione di fare cinema, perché hanno modi di produzione diversi, tempistiche spesso molto veloci. Detto questo, rappresentano un ottimo canale e mi sento di essere molto riconoscente per ciò che mi hanno consentito di fare.

Cosa pensi del dualismo, con conseguente spostamento del mercato, tra lungometraggi e serie tv?

Credo che ciò sia legato da un lato alla velocità di consumo, visto che un film ha una durata spesso di due ore, mentre la serie ha episodi decisamente più brevi, più facili da “incastrare” nelle nostre giornate frenetiche. Certo, poi c’è sempre chi fa binge watching, inanellando sei-sette episodi in una sola volta, ma in media è così.

La struttura delle serie mi pare più simile al romanzo, poiché danno la possibilità di approfondire maggiormente i personaggi e le loro linee narrative, mentre il film è per sua natura autoconclusivo. Ci sono alcune serie realmente artistiche, attualmente sto vedendo Mozart in the jungle e mi sta piacendo moltissimo e non vedo l’ora di iniziare la terza stagione di Stranger Things. Ci sono veramente molte produzioni per tutti i gusti.

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