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Recensione: Cancel culture e ideologia gender – Navigando tra false credenze

Recensione: Cancel culture e ideologia gender - Navigando tra false credenze Recensione: Cancel culture e ideologia gender - Navigando tra false credenzeCancel culture e ideologia gender
Fenomenologia di un dibattito pubblico
di Maddalena Cannito, Eugenia Mercuri, Francesca Tomatis

Rosenberg & Sellier Editore

In questo saggio, Cancel culture e ideologia gender, tre ricercatrici amiche appartenenti a tre differenti Atenei hanno unito i loro sforzi per produrre qualcosa di nuovo e unico la cui idea è venuta alla luce dopo uno dei Lunch Seminar organizzati dal Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino.

L’impostazione del saggio è marcatamente scientifica; il linguaggio utilizzato, invece, è reso il più possibile divulgativo nell’impresa, riuscita, di raggiungere anche i non addetti ai lavori.

Si parte da un’introduzione in cui si ricordano le linee guida pubblicate a fine 2021 per orientare i Commissari e le Commissarie dell’Unione europea nell’utilizzo di standard comuni inclusivi, anche dal punto di vista del genere, nelle loro comunicazioni.

Nel primo capitolo del saggio sono, pertanto, indagate le origini della Cancel culture, partendo da una battuta sessista nel film New Jack City del 1991 e diretto da Mario Van Peebles (“cancel that bitch”, “cancella quella stronza”; battuta che si riferisce al tentativo di dimenticare subito l’ex ragazza appena picchiata e lasciata dal protagonista Nino Brown). Le analisi delle autrici non trascurano nulla e percorrono le tappe di un percorso storico che va dal Black Twitter, dal movimento Black Lives Matter, dalla wokeness, ai call-out, fino a trattare il tema della rimozione delle statue, per cercare di comprendere le origini della Cancel culture.

Cosa sono questi movimenti e cosa c’entrano con le origini della Cancel culture è un piacere che si rimanda alla lettura del saggio.

Si evince, quindi, quanto il tema sia complesso perché il nome stesso ha avuto radici non semplici da comprendere e inizialmente indicava una pratica di boicottaggio di comportamenti non etici da parte di nominativi celebri. Eppure, l’utilizzo giornalistico e divenuto massivo di questa dicitura ha portato a un fraintendimento che riguarda la perdita della propria Storia, delle proprie origini, dell’identità o persino della propria libertà.

Le autrici mettono in guardia dall’etichetta che, nel dibattito pubblico italiano è, ormai, apposta a questo tema confondendolo con il “politicamente corretto” e, inaspettatamente, anche con l’ideologia gender. In questo fallace etichettare possono essere, infatti, subito liquidate le varie rivendicazioni per una società più inclusiva e attenta alle diseguaglianze sociali.

Il tema ha dovuto affrontare, infatti, etichette che non sono servite a una maggiore comprensione ma a storture e deviazioni dal senso originario attento all’inclusività.

Un’inclusività originaria che sfugge a chiunque data l’idea radicata che ormai abbiamo, grazie anche ai mass media, della Cancel culture e che non si può affrontare in una recensione di poche righe ma mediante la lettura attenta di questo saggio capace di dissipare dubbi e convinzioni.

Per questo fraintendimento radicato nelle nostre teste e che non ci permette più di vedere l’inclusività delle origini (per la quale si rimanda alla lettura del saggio) è stato anche erroneamente confuso con la progressiva eliminazione delle radici culturali e della propria Storia.

Personaggi noti del mondo dello spettacolo e della politica, persino i più insospettabili, non sono stati immuni a questa confusione che ha investito anche una nota enciclopedia.

Mancherebbe, in effetti, la distinzione tra l’atteggiamento di colpevolizzazione citato in tale enciclopedia per definire la Cancel culture e il suo relativo etichettamento come cultura che incoraggerebbe tale atteggiamento.

Cancel culture e “ideologia gender” non esistono in Italia così come vengono raccontate e le autrici portano a titolo di esempio tutto il loro apparato di conoscenze e approfondite ricerche in questo campo per cercare di sfatare falsi miti e pregiudizi nostrani.

Falsi miti e pregiudizi, in questo caso per l’“ideologia gender”, che hanno portato all’affossamento del disegno di legge Zan, ad esempio.

Quando il pregiudizio arriva a investire l’intero agire politico, la ricerca non può tacere perché è nella sua natura essere a disposizione della società e contribuire al suo generale miglioramento, non da ultimo cercando di eliminare la diffusione delle fake news.

Per questo ci troviamo dinanzi a un saggio che con delle argomentazioni solide e un più che ricco apparato delle note cerca di affrontare e rimuovere i vari pregiudizi radicati mediante i non pochi tentativi di rinuncia alle etichette.

Un saggio che cerca di far comprendere ai lettori che certi processi non devono essere vissuti come perdite (della propria Storia, delle proprie origini, dell’identità o persino della propria libertà) perché non lo sono affatto, se solo riuscissimo, ogni tanto, a provare ad abbracciare il punto di vista dell’altro da noi.

Un saggio per chi è pronto all’arduo compito di provare a rimettersi ogni tanto in discussione e a cambiare prospettiva per una società più attenta e inclusiva.

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