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Recensione: “La libraia che salvò i libri” – Il coraggio di Sylvia Beach

Recensione: "La libraia che salvò i libri" - Il coraggio di Sylvia Beach Recensione: "La libraia che salvò i libri" - Il coraggio di Sylvia BeachLa libraia che salvò i libri.
di Kerry Maher
Tradotto da: Stefano Beretta, Federica Merati, Adria Tissoni
Garzanti Editore

Kerry Maher con il suo romanzo “La libraia che salvò i libri” rende omaggio a Sylvia Beach, giornalista e pubblicista dei primi del Novecento, nonché fondatrice della ancora oggi famosa libreria Schakespeare and Company e coraggiosa editrice di James Joyce.

Nel 1916, la ribelle e determinata Sylvia decide di trasferirsi nella città che aveva conosciuto da adolescente e di cui si era perdutamente innamorata: Parigi.

Lontana dall’ambire a un matrimonio e un rapporto ordinario eterosessuale, supportata dalla donna che incontra proprio in quel contesto e che diventa la sua compagna di vita, decide di aprire una libreria con la dote assegnatale dai genitori rimasti in America, ma che sostengono il suo sogno.

Nonostante numerose difficoltà finanziarie riesce a diventare negli anni un’imprenditrice di successo e a essere riconosciuta come una stimatissima intellettuale.
La svolta arriva quando decide coraggiosamente di sposare la causa della pubblicazione di libri censurati in quel periodo nella rigorosa America.

La pubblicazione dell’Ulisse di Joyce, in lingua originale e francese, vietato per legge negli Stati Uniti, diventa una sorta di manifesto della sua ribellione alle convenzioni e alla censura letteraria, consacrandola come una vera e propria protettrice della letteratura del ‘900.

La sua libreria diventa così una specie di circolo culturale, nel quale avvengono incontri tra autori emergenti, fioriscono iniziative brillanti e alla portata di tutti come quella del prestito di libri mediante tesseramento e tutta una sorta di iniziative culturali all’avanguardia per l’epoca.
In essa ben presto trovano asilo e ispirazione numerosi letterati del tempo:
André Gide, Ezra Pound, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, e James Joyce.

In particolare con Joyce, Sylvia ha un rapporto quasi materno, assecondando i suoi numerosi capricci e cedendo i diritti d’autore dell’Ulisse, solo alla fine quando, come un figlio ingrato, egli si ribellerà a questo legame quasi simbiontico.

Ho indugiato molto sul racconto della storia narrata perché in effetti il romanzo, pur essendo ben scritto e ricco di dettagli storici e culturali, evita l’afflato poetico e si concentra soprattutto sui fatti.

Indubbiamente le intenzioni e le azioni di Sylvia, pur narrate nel dettaglio, sono già esse stesse poeticamente un inno alla libertà.

Leggendo il romanzo la partecipazione a quell’entusiasmo è opacizzata, perché la Maher, più che la passione, rimarca quasi una sorta di isterica ostinazione personale della protagonista per la libertà, che sembra superare lo stesso desiderio di salvare i libri, elemento cruciale del titolo del romanzo e che riempie di aspettativa romantica il lettore, che disattesa, si trova a fronteggiare un diverso materiale, meno onirico e più tangibile.

Ammirevole la coraggiosa descrizione della personalità di Joyce, l’essere umano, che ci appare capriccioso e a tratti volubile, rispecchiando le condizioni sociali ed economiche in cui vivevano a quell’epoca scrittori che hanno segnato la storia della nostra letteratura.

L’autrice indugia, sul comportamento del personaggio tralasciando le fragilità umane che lo generano, troppo spesso usate a discolpa.

Affascinante è la capacità del libro di condurci, per mezzo di Sylvia, attraverso la storia e di sollecitare o confermare in noi la consapevolezza di quanto la letteratura, che la si legga, la si pubblichi o la si scriva, sia sinonimo di indipendenza e libertà e vada difesa sempre, a ogni costo.

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