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Recensione: “Riti notturni”. Ferite che muovono azioni criminali

Recensione: “Riti notturni”. Ferite che muovono azioni criminali Recensione: “Riti notturni”. Ferite che muovono azioni criminaliLibertà: a cosa è disposto un uomo pur di soddisfare questa intima necessità?
Trascendere la realtà o piuttosto viverla sublimandola o cedere alle pulsioni?
Sono questi alcuni degli spunti e degli interrogativi di questo incredibile romanzo di Colin Wilson, Riti notturni, edito da Carbonio, con la traduzione di Nicola Manuppelli.
Il titolo contestualizza la narrazione nella notte, evocando atmosfere oscure, misteriose, nebbiose.

È proprio nelle cupe e fumose notti londinesi, che vengono compiuti una serie di efferati omicidi da un serial killer che si fa chiamare “Grembiule di Cuoio”, che ha modalità simili a quelle di Jack lo Squartatore. In questa Londra bohémienne di inizi 900, lo scrittore intellettuale Gerard Sorme, che stringe un’amicizia particolare con lo scrittore omosessuale Austin Nunne, tenta di scoprire il colpevole di questi omicidi e si interroga sulle ragioni profonde che muovono il maniaco nelle sue pulsioni criminali.
Quello di Colin Wilson, più che un thriller, è un romanzo di impronta filosofico/intellettuale.

In realtà il mistero resta quasi al margine del racconto, che si articola invece in un crescendo di suggestioni, impressioni e concetti tra i quali: il bene e il male, la libertà, le pulsioni ancestrali, la religione, le perversioni e il sesso.
Questi concetti sono espressi con grande maestria e intensità, avvincendo il lettore fino all’ultima pagina.
Il racconto inizia in sordina seguendo quasi di pari passo il ritmo vitale del protagonista Sorme, che riemerge dal torpore di un’esistenza annoiata, piatta e di mera speculazione intellettuale grazie alla scintilla scatenata dalla conoscenza del misterioso e affascinante Austin.
Il mistero, nel romanzo, si dipana come una matassa concettuale e quel che l’autore vuole porre in luce, non è tanto il colpevole in se’, quanto l’intimo movente che induce quest’ultimo ad uccidere.

Questa rivelazione graduale, non avviene mediante un’analisi psicologica rigida, ma innescando nel lettore un processo di comprensione dell’atteggiamento di ogni individuo rispetto alla soddisfazione dei propri bisogni di libertà, della propria ricerca di senso, rendendo quindi il romanzo , una versione poetica della psicologia di un criminale.
Il protagonista, Sorme, analizza il crimine su cui informalmente indaga, da un punto di vista empatico, tipico di chi, rispecchiandosi nelle parti ombra altrui, riesce, senza giudizio, a vedere davvero l’altro e contemporaneamente davvero se stesso e possiede un’interezza che consente di soggettivare realtà e individui e di interpretarle correttamente.

Sorme è un protagonista positivo, che si contrappone ad altri personaggi del romanzo, caratterizzati invece da immensa debolezza, in quanto tendenti a soddisfare istinti in modo sensuale e quindi oggettivo o addirittura in modo perverso e quindi brutale.
Ciascun essere umano, osserva il protagonista, nella foga ottusa di percepire se stesso come libero, potrebbe incappare in vere e proprie trappole della psiche, rendendosi addirittura prigioniero del presente, o dipendente da istinti omicidi.
Il romanzo ci induce a confrontarci con l’assassino, a chiederci quanto le nostre ombre possano assimilarci a lui oppure quanta della nostra noia di vivere possa spesso condurci ad essere vittime di certe dipendenze.

Il finale inevitabile, ma non per questo scontato, regala in questo senso, un riscatto al lettore: l’empatia è una proiezione tipica di individui sani e che l’assassino per antonomasia, di solito non possiede.
Essa è propria di chi tenta di comprendere umanamente meccanismi e ferite che muovono azioni criminali.

L’assassino è solo una banale e inconsistente vittima del disprezzo per se stesso.
Un uomo debole e sociopatico, prigioniero della sua stessa idea di libertà.

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