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Elisabetta Salvatori in “Delicato come una farfalla e fiero come un’aquila” al Teatro Puccini di Firenze

Elisabetta Salvatori in "Delicato come una farfalla e fiero come un’aquila" al Teatro Puccini di Firenze Elisabetta Salvatori in "Delicato come una farfalla e fiero come un’aquila" al Teatro Puccini di FirenzeIl palco è spoglio, pochi oggetti; una luce discreta, dalle tonalità ocra, illumina una valigia rigida di molti anni fa e una tela bianca.

L’attrice entra indossando un abito bianco lungo, al collo un piccolo specchio.

Elisabetta Salvatori porta in scena un lavoro ispirato alla vita del pittore Antonio Ligabue.

Si tratta di uno spettacolo di narrazione: la performer passa dal racconto in terza persona ad alcuni primi piani interiori volti a penetrare l’anima tormentata dell’artista.

Nei momenti di introspezione, la voce si fa acuta e, sostenuta dall’accento emiliano, l’attrice compie la sua personale metamorfosi.

Il pittore era solito andare in giro con uno specchio appeso al collo, talvolta riflettendosi per spalancare la bocca ed emettere orribili suoni gutturali, simili a ruggiti.

L’attrice propone il rito più volte interrompendo il flusso della narrazione.

La tela al centro della scena non rimarrà bianca: più volte la raccont-attrice si avvicina, dipinge qualcosa, ma solo alla fine dello spettacolo sarà chiaro di cosa si tratta.

La storia desolante di un uomo solo, tradito e abbandonato da tutti, che trova la propria personale umanità nel rapporto con gli animali e con la natura, viene narrata con pacatezza; l’attrice non scivola mai verso tonalità patetiche.

Nella prima parte la Salvatori ri-vive la nascita (il parto) del pittore: si accascia morbidamente sulle assi del palco, senza un’intenzione meramente realistica; non illustra il dolore fisico, bensì un dolore altro, come se non stesse mettendo al mondo un figlio, ma una solitudine troppo desolante.

Più avanti l’attrice culla un bambino immaginario (e sé stessa), dondolandosi seduta sulla valigia: qui, più ancora che nel racconto, si schiude tutta la struggente nostalgia di madre che caratterizzerà la vita di Antonio.

 L’infanzia, povera e solitaria, del futuro artista è resa attraverso frammenti; lo stesso avviene per il passaggio dalla madre naturale a quella adottiva.

Nella seconda parte troviamo Ligabue in Emilia, emarginato, in una baracca, a scaldarsi con la paglia e con gli animali vivi che lo accompagnano. È in questa sequenza che Salvatori rende al meglio, fisicamente, l’infinito desiderio dell’artista: desiderio di donna, di carne, di calore e di madre.

Una corporeità a tratti languida e l’uso attento della voce (dal canto al ruggito) conducono il pubblico all’interno di una vita terribile e toccante, priva di gesti d’amore e di tenerezze. Quando, inaspettato, il successo arride al pittore ormai è tardi; Ligabue è un esiliato, incapace di vivere seguendo le regole della società, incapace di risparmiare; la solitudine è cronica, nessuna donna gli si concede, nemmeno le prostitute lo vogliono.

Una frase illumina più di altre il senso profondo della vita del pittore e dello stesso lavoro della Salvatori: “Non aveva mai posseduto nulla, aveva solo la sua memoria”. La memoria, ancora e vela allo stesso tempo; bussola e cielo stellato.

 Attraverso il racconto si fa strada una sorta di pietas, il ruggito si fa qualcosa di diverso dal richiamo bestiale dell’inizio; la voce della Salvatori si sostituisce alla madre e alla donna che il pittore non stringerà mai, in un abbraccio a distanza, sensuale e salvifico. Lo spettacolo si chiude con il funerale di Antonio, il suono di una banda accompagna l’attrice che esce di scena gridando con gioia frasi in dialetto emiliano: un crescendo emozionante e toccante.

 L’anima tormentata del pittore è salva, la porta via con sé la donna in bianco, la donna che porta il nome di sua madre, la donna che gli ha restituito la voce. Sulla tela ormai è perfettamente riconoscibile il muso di una tigre che spalanca le fauci.

Nota di Elisabetta su com’è nato lo spettacolo.

‘Delicato come una farfalla e fiero come un aquila’,

nasce dall’evoluzione di un precedente spettacolo, andato in scena un unica volta, nel maggio del 2009, nel teatro di Buti (PI), che si intitolava “C’era una volta un leone, una tigre, un pollaio e c’ero io nel dipinto di me medesimo”, la regia era di Flavio Bucci.

Fu una prima, travagliata, per problemi sorti con la produzione e venne deciso di finire la collaborazione.

Così, lo spettacolo è stato riproposto, il testo è lo stesso, è solo stata aggiunta una canzone originale, non ci sono musicisti, ma c’è sul finale la musica di una banda registrata, anche il contume di scena è lo stesso, il titolo, invece è diventato: ‘Delicato come una farfalla e fiero come un aquila’.

Il debutto avvenne nel teatro di Guastalla nell’ottobre del 2009, con il patrocinio del Centro Studi e Archivio Antonio Ligabue di Parma. Della regia di Flavio Bucci rimangono i suggerimenti e il divertimento di essere stata travolta da un artista geniale e folle.

Biglietti:

posto unico non numerato € 10,40

La biglietteria è aperta ogni giovedì, venerdì e sabato dalle ore 16.00 alle ore 19.00 e un’ora prima dell’inizio dello spettacolo.

Biglietti in vendita nel circuito regionale Box Office/Ticketone

Acquisto on line su www.teatropuccini.it

INFORMAZIONI: 055.362067 – 055.210804

LABORATORIO PUCCINI / il ridotto del Teatro Puccini 

Via delle Cascine 41 – 50144 Firenze 

www.teatropuccini.it[email protected]www.facebook.com/teatro.puccini

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