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Recensione: “Aline. La voce dell’amore” – Una lezione di leggerezza

Recensione: "Aline. La voce dell'amore" - Una lezione di leggerezza Recensione: "Aline. La voce dell'amore" - Una lezione di leggerezzaALINE – LA VOCE DELL’AMORE
regia di Valérie Lemercier
Ispirato alla vita di Céline Dion.

Aline, ultima di 14 figli ha in dono una voce straordinaria. Il suo unico sogno è diventare la più grande cantante del mondo.
Lo confessa un giorno a sua madre che le risponde sicura: “Ho grandi progetti per te”. Ed è la verità: sua mamma, suo padre, la sua incredibile famiglia, la sosterranno sempre.
Aline è interpretata dalla stessa regista, Valérie. Attrice poliedrica e divertente, capace di mettersi nei panni di Aline a ogni età, dai 10 anni in poi, riuscendo a essere convincente nelle espressioni e nelle movenze.
Quando interpreta Aline da bambina, chi ha curato le scene ha ingigantito i suoi oggetti: la cartella, i quaderni, e perfino i microfoni di quando comincia a cantare. “La sedia dove si siede la prima volta che incontra Guy-Claude è stata progettata come molto grande per far apparire Valérie minuta”, racconta Emmanuelle Duplay.

Quando il produttore musicale Guy-Claude ascolterà per la prima volta la voce di Aline, sarà certo che la ragazza realizzerà il suo sogno e le sarà accanto sempre.
Tutto il film è “raccontato” come una vera fiaba e con una gran dose di umorismo e ironia, ma non è una parodia, è una storia d’amore.
La storia d’amore di Aline con il produttore Guy-Claude, ma anche la storia d’amore di Aline con la musica e ancor prima con la sua famiglia.
Una famiglia che come un sole, sparge calore e affetto incondizionato.
Tutt’altro che ingenua, la storia di Aline offre, fuori dagli schemi tradizionali, un esempio di coerenza, prolungata nel tempo e radicata nell’amore per il canto. Le scelte artistiche e personali, confermano il carattere non oggettivo, ma sentimentale della cantante, confermano l’intenzione di mantenere nella vita un tono che concili naturalezza e professionalità, buonsenso e buon gusto, proprio come usa fare alle persone che hanno avuto un’educazione semplice e una famiglia affettuosa.

C’è una mancanza di retorica nel film che corrisponde a una scelta della regista.
Lo studio dei caratteri tipicamente borghesi della famiglia d’origine, delle abitudini del luogo, il Quebec, dei rituali di famiglia porta a una registrazione cronologica dei fatti che in forma semplice e funzionale allarga la visuale dagli eventi privati a quelli pubblici, non per un puro scrupolo cronachistico, ma nella piena convinzione che la famiglia, sia parte dinamica della vita di Aline. Parentele, amicizie, legami prendono senso e costruiscono le maglie più strette o più larghe di una stessa rete.
Il film dà il massimo rilievo alla cantante, costruendo un vero e proprio ritratto sentimentale, morale, psicologico di Aline (Celine Dion), vero o immaginario che sia.

Emula la narrativa in alcuni passaggi, avvicinandosi al romanzo di formazione o, più svagatamente, al romanzo di viaggio.

Sembra che per la regista qualcosa che somigli a un diario senza esserlo nella forma sia una narrazione utile e obiettiva, pur con qualche vezzo stravagante e un humour che alleggerisce lo stile.

Ne viene, anche nei momenti bui della morte di suo padre e qualche tempo dopo, dell’unico amore di Aline, Guy-Claude, una lezione di leggerezza e di equilibrio senza rancori.

Celine Dion non ha accettato di attribuire il proprio nome al film, ma chissà se ne ha apprezzato il garbo con cui la sua vita è stata narrata.

 

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