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Recensione: “Diego Maradona”, dal regista di “Amy” una storia di genio e autodistruzione

Al cinema solo il 23-24-25 settembre

Asif Kapadia, che nel 2016 con Amy, il documentario su Amy Winehouse, si è aggiudicato il Premio Oscar per il miglior documentario, firma Diego Maradona, realizzando interviste esclusive a Diego Maradona e utilizzando immagini tratte dal suo archivio personale di oltre 500 ore di filmati mai visti prima.Recensione: "Diego Maradona", dal regista di "Amy" una storia di genio e autodistruzione Recensione: "Diego Maradona", dal regista di "Amy" una storia di genio e autodistruzione

Diego Maradona è la storia di un ragazzino povero e senza istruzione cresciuto in una baraccopoli: la sua sorprendente eccellenza lo fa diventare una stella assoluta, elargendogli ricchezze incalcolabili, fama mondiale e status degno di una divinità. Tuttavia, gli mancano gli strumenti per gestire una celebrità simile.

Ogni trionfo della sua vita sembra avere un esito disastroso – anche se di solito finisce per uscirne vincitore perché, come fa notare Kapadia: “È così sveglio e scaltro. Non importa quante volte fallisce, si rialza sempre e va avanti. Com’è possibile che una persona con le sue origini passi tutto quello che ha passato lui senza risentirne?”.

Anche se Maradona subisce una serie di sconfitte, continua a combattere. “È un vero lottatore” prosegue Kapadia “e la sua è una storia che morivo dalla voglia di raccontare”. Diego Maradona è un’icona, un eroe latino, un uomo di cui moltissimi suoi compatrioti sono terribilmente orgogliosi. Affronta giganti europei, rovesciando potenze come la Juventus, il Milan e l’Inter con la sua eccellenza sportiva. A Napoli diventa simile a un semidio. “Eppure in qualche modo non riesce mai ad integrarsi del tutto”, dice Kapadia. “Ha tanta rabbia che si porta dentro e tutti i suoi problemi e le sue difficoltà derivano, credo, dal suo non essere preparato alla celebrità”.

Agli inizi degli anni Ottanta, non avendo mai vinto lo scudetto, la Società Sportiva Calcio Napoli viveva un periodo particolarmente difficile, vantando però una tifoseria senza eguali per passione e dimensioni. Poi, il 5 luglio 1984, Maradona arrivò al Napoli con un ingaggio record e per sette anni scatenò l’inferno.

Il genio assoluto del calcio mondiale e la città più imprevedibile d’Europa si dimostrarono un connubio perfetto: Diego Maradona era stato benedetto sul campo e trattato come un Dio fuori di esso. Il carismatico argentino trascinò infatti il Napoli al suo primo scudetto. Era il 1987 e quello fu un evento epocale. Ma c’era un prezzo da pagare perché, finché fece miracoli in campo, a Diego fu concessa ogni cosa, ma quando la magia svanì, divenne prigioniero della sua stessa città.  Forse perché, come spiega il preparatore atletico di Diego, Fernando Signorini, Diego non ha nulla a che fare con Maradona ma Maradona trascina Diego ovunque lui vada.

Ed è proprio in questo dualismo, tra Diego, sincero, affettuoso, vero e Maradona, personaggio ebbro di successo e visibilità, presenzialista senza se e senza ma, integrato persino nel sistema camorristico, che si risolve il film, perfetto nell’evidenziare il momento esatto in cui l’anima nera ha il sopravvento, condizionando in maniera drammatica e irreversibile il corso degli eventi. Un crinale che segna in maniera chiara la cesura tra il genio e l’autodistruzione.

La realizzazione tecnica è ineccepibile, mescolando sapientemente il materiale inedito e i momenti di intensità drammatica. Talvolta la voce narrante di Maradona è rotta da una sincera commozione e fa da cornice straordinaria a un racconto capace di coinvolgere per tutti i 130 minuti anche chi quella storia la conosce o l’ha vissuta.

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