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Recensione: “Giotto e Dante, Paradiso per due” – Un destino parallelo

Recensione: "Giotto e Dante, Paradiso per due" - Un destino parallelo Recensione: "Giotto e Dante, Paradiso per due" - Un destino paralleloIl breve saggio di Stefano Zuffi, Giotto e Dante, Paradiso per due (Enrico Damiani Editore) ci presenta in parallelo la biografia e la storia artistica di due illustri fiorentini (quasi coetanei, essendo Dante nato nel 1265 e Giotto nel 1267) che, con diversa fortuna, hanno attraversato il ponte tra Duecento e Trecento, segnando l’uno nel campo pittorico e l’altro in quello letterario, un punto di riferimento assoluto per tutta la produzione dei secoli a venire.

La Cappella degli Scrovegni di Giotto e la Divina Commedia di Dante diventano il paradigma di una nuova competenza artistica e di una nuova visione del mondo stesso.

L’autore ci guida nel dettaglio della biografia dei due artisti, attraverso un’accurata e ampia scelta di fonti che denotano una grande attività di ricerca dietro le quinte di questo saggio.

Vengono smentite così una serie di fake news che la tradizione dei testi scolastici aveva consolidato in relazione al carattere e alle frequentazioni dei protagonisti.
Un capitolo è dedicato a ciò che Giotto rappresenta in campo pittorico rispetto allo stesso maestro Cimabue e a tutta l’iconografia stereotipata e priva di prospettiva della pittura medievale ad ascendenza bizantina. Un altro è dedicato alla interazione a distanza tra testo dantesco e tema pittorico della Basilica Inferiore di Assisi, dove Giotto celebra la vita di San Francesco.

Nei due successivi capitoli Zuffi analizza la diversa fortuna sociale e finanziaria di Giotto e Dante, il primo divenuto sempre più abbiente grazie alle opere commissionategli da diversi illustri signori della penisola; il secondo, invece, caduto in disgrazia per le sue scelte politiche nella Firenze allora divisa tra Guelfi bianchi e neri, finisce per essere condannato all’esilio per evitare la pena di morte e inizia a Ravenna una vita molto meno agiata di quella che avrebbe potuto condurre nella sua città natale, finendo poi per ammalarsi fatalmente di malaria.
Un’attenta analisi artistica viene condotta su quello che resta il lascito artistico di Giotto, ossia la cappella degli Scrovengi a Padova, con l’apoteosi creativa del soffitto stellato che richiama la chiusura finale del poema dantesco in tutte e tre le cantiche ma ovviamente con particolare aggancio alla terzina finale del Paradiso.

Si analizzano poi gli aspetti caratteriali privati e pubblici dei due artisti con un Dante sempre più pungente e astioso nella sua sofferta condizione di esule e un Giotto che, invece, muore dopo essere stato chiamato tre anni prima ad essere magister et gubernator del cantiere colossale di Santa Maria del Fiore.
Un interessante capitolo è dedicato a un possibile Dante pittore, partendo dalla citazione nella biografia di Leonardo Bruni, che egli “di sua mano egregiamente disegnava”. Ovviamente non poteva mancare qui l’esplicito riferimento che Dante fa di Giotto, dicendo di lui che ha “il grido” che Cimabue non aveva.

Il penultimo capitolo è dedicato alla secolare e mai del tutto chiarita diatriba sui resti mortali di Dante, sui vari tentativi di riportarli a Firenze. Allo stesso modo la tomba di Giotto, nonostante una regolare cerimonia documentata, risulta dispersa o riutilizzata per altre sepolture già nel XV secolo. Anche in questo il destino dei due artisti sembra trovare un certo parallelismo.

Il breve capitolo finale è dedicato alle competenze astrologiche e astronomiche del pittore Giotto e del poeta Dante. Decisamente un tema che avrebbe meritato un approfondimento maggiore sopratutto perché parliamo di artisti che hanno vissuto in un’epoca, quella medievale, in cui le opere d’arte erano considerate un viaggio simbolico alla ricerca dei più alti valori dello spirito umano: come in cielo così in terra.

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