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Recensione: “I cieli di Alice”, fiaba dolceamara di amore e guerra

Recensione: "I cieli di Alice", fiaba dolceamara di amore e guerra Recensione: "I cieli di Alice", fiaba dolceamara di amore e guerra“Di che materia sono fatti i sogni?” si potrebbe chiedere, parafrasando Shakespeare. Si può sognare guardando il cielo o costruendo una realtà da sogno sulla terra.

Sarà questa seconda opzione che caratterizzerà la vicenda di Alice (Alba Rohrwacher), una giovane ragazza che dalla Svizzera scopre un paese delle meraviglie sulle sponde del Mediterraneo. Siamo negli anni ’50 e Beirut, capitale del Libano, è splendida, al punto da essere un’agguerrita concorrente delle località della Costa Azzurra. Alice non ha dubbi: tra le due offerte di lavoro, una a Ginevra e l’altra, appunto, a Beirut, sceglie quest’ultima.

Alice, nomen omen, troverà un vero e proprio Paese delle meraviglie, a partire da una iconica donna-cedro che simboleggia un Libano allegro, spensierato e accogliente e che sarà la sua prima guida, per continuare con Joseph (interpretato da Wajdi Mouawad, attore, regista, commediografo e scrittore libanese conosciuto internazionalmente per le sue opere), scienziato che si sta adoperando per costruire un razzo che spedisca il primo libanese sulla Luna: sarà amore a prima vista seguito dalla nascita di loro figlia.

Nel 1975, però, scoppia la lunga guerra civile in Libano, che durerà fino al 1990 con gli accordi di Ta’if. E non sarà solo il Paese, ancora rappresentato dalla donna-cedro, a esserne sconvolto, bensì anche il rapporto tra Alice e suo marito. Una piccola curiosità: anche Mouawad, interprete di Joseph, come molti suoi connazionali, fu costretto a lasciare il paese a 10 anni, nel 1978, per scampare alla guerra civile.

Questa la vicenda de I Cieli di Alice, lungometraggio che è arrivato martedì 15 febbraio nelle sale italiane, dopo essere stato presentato in Italia a Molise Cinema, ad Efebo d’oro di Palermo (dove Chloé Mazlo ha vinto la Menzione Speciale della giuria Efebo Prospettive) e al Lucca film festival e disponibile anche su IWONDERFULL, la piattaforma streaming di I Wonder Pictures in collaborazione con MYmovies.

“Volevo parlare della guerra nel modo in cui mi è stata raccontata dalla mia famiglia” spiega la regista Chloé Mazlo. “Il personaggio di Alice è in gran parte ispirato a mia nonna, che dalla Svizzera si è trasferita in Libano intorno alla metà degli anni Cinquanta, innamorandosi immediatamente del paese, una cosa che mi ha fatto porre più domande che se fosse stata libanese. L’attaccamento a una terra è qualcosa di irrazionale, ed è ancora più difficile da comprendere se ci innamoriamo di una nazione che non è neanche quella in cui siamo nati e cresciuti”. Anche la famiglia della regista poi dovrà emigrare in Francia.

Quando si racconta una storia, il realismo dei particolari non conta: comandano gli eventi. Così, la vicenda de I cieli di Alice è caratterizzata da animazioni in stop motion che descrivono la relazione con la famiglia di Alice, in Svizzera, mentre gli scenari libanesi sono rappresentati da pannelli statici, immagini conservate nei ricordi di un sogno felice e patinato. Queste scelte stilistiche, abbinate a curiosi colori pastello, fanno pensare a rimandi di altri lavori, tra Wes Anderson e Il favoloso mondo di Amélie. Hélène Louvart, che cura la splendida fotografia, ha un ruolo centrale nella riuscita del film.

Poi, quando il sogno diventa incubo, cambia il modo di raccontare, anche a livello visuale: tutto diventa più nitido, vicino, presente. Le figure ideali diventano concrete, se si fa eccezione per alcune maschere di animale a simboleggiare la ferinità del conflitto armato. Impossibile non essere coinvolti.

I cieli di Alice è un film sull’amore e sulla guerra, un grande classico. Denuncia l’assurdità del conflitto in Libano tenendo al centro le vicende umane, i sogni, i sentimenti che possono e devono rimanere barre salde cui aggrapparsi quando tutto trema. Ma è anche una metafora della vita che cambia, nei luoghi, nelle vicende e che qualche volta ci spezza.

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