Vai al contenuto

Recensione: “Il brigatista”, la storia e il racconto

“…quando un giornalista si innamora di una storia è finita, non c’è posto per altro.”

Forse l’essenza de Il brigatista di Antonio Iovane è tutta qui, in questa frase presa in prestito dal romanzo stesso.

Ci sono storie, avvenimenti e fatti di cronaca che scorrono dentro di noi. Se le individui puoi scoprire quali confini ti tracciano attorno e, se vuoi, puoi andare oltre. Molti di questi “fatti” sono accaduti nella giovanissima età dell’autore, e forse sono rimasti in lui, una presenza ingombrante.  Sono gli anni 70/80, gli anni di un’Italia ancora capace di lottare per dei valori, dove tra la classe operaia c’era chi leggeva Marx e Engels.

Recensione: "Il brigatista", la storia e il racconto

Quindi scrivere un romanzo diventa un pretesto per poter raccontare la storia che ti è entrata dentro e che da lì, preme per essere riscritta: dalla strage di Piazza Fontana fino al sequestro Dozier si tesse un canovaccio intrigante, tra le cui trame ritroviamo nomi e fatti che sono sedimentati nel ricordo di un’intera generazione e di un’intera nazione.
Il sequestro Sossi e il sequestro Moro, la strage di Piazza della Loggia a Brescia, la contestazione di Lama all’Università di Roma, l’epidemia di colera a Napoli, gli uomini del generale Dalla Chiesa e i loro sforzi per catturare i brigatisti.

Pretesto quindi, ma anche rispetto e immaginazione.

Re-species, ovvero “ri-guardare il volto”. E il volto è l’immagine con cui l’altro si affaccia a noi. Un “altro” che può essere una persona, ma anche un intero momento storico. Antonio Iovane, giornalista e scrittore, nelle pagine del suo libro accompagna noi lettori a rivedere le cose, la storia e le persone, al di là del giudizio, in modo da spogliarle di quanto ne abbiamo già pensato e di lasciar loro lo spazio per manifestarsi pienamente nella propria verità.

La storia è anche quella dei giornalisti, di chi scrive in quegli anni cercando di raccontarli, avendone un’esperienza troppo ravvicinata forse, essendo dentro ai fatti e non potendo valutare le cose dalla giusta distanza per darne una visione più completa, più distaccata. I grandi nomi come, Bocca, Montanelli, Camilla Cederna, coloro che scrivevano da dentro quell’immenso formicolio di accadimenti che gli scorrevano intorno e spesso li travolgevano personalmente.

E proprio attraverso la confessione a una giornalista, Jacopo Varega, protagonista del romanzo, militante delle BR e ricercato, dipana il racconto del decennio dell’odio iniziato nel 1969 con la strage di piazza Fontana a Milano.
Una confessione contraddittoria, parziale, dove la questione privata e sentimentale, diventa motivo di scelte che eclisseranno l’importanza del progetto ideale di rivoluzione.
E la via dunque per recuperare la verità impone la necessità di uno sguardo a ritroso degli eventi, di una rilettura del racconto senza pregiudizi, grazie all’Immaginazione e l’acume di Ornella, la giornalista.

Lo stile serrato del romanzo lo avvicina al thriller, i personaggi sono descritti attraverso i loro ricordi e le loro abitudini, le canzoni che amano, i libri che leggono, le sigarette che fumano, usati come simboli che rimandano a un’intera epoca.
Trattando di fatti noti ai più, la narrazione diventa una specie di gioco dove autore e lettore si aspettano a vicenda lungo il sentiero della storia; e dove la meraviglia si innesca nella originalità della rilettura dei fatti. In questo sguardo “ripulito” può anche accadere infine, di sentirsi involontariamente vicini al brigatista.

Antonio Iovane è nato e vive a Roma. Giornalista, conduce la trasmissione radiofonica Capital Newsroom in coppia con Ernesto Assante su Radio Capital. Il Brigatista, edito da Minimum Fax è il suo terzo libro. Ha precedentemente pubblicato per Barbera editore: La gang dei senzamore (2005) e Ti credevo più romantico (2006).

Autore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Send this to a friend