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Recensione: “La terra chiama” – Millennial, breakers e guastafeste

Recensione: “La terra chiama” - Millennial, breakers e guastafeste Recensione: “La terra chiama” - Millennial, breakers e guastafesteE cos’è il racconto se non condivisione?’”

Come non condividere questo pensiero dell’autrice di “La terra chiama”, Valentina Boachetto Doorly, saggio edito da Il Saggiatore, in cui traspare molto di lei, della sua esperienza, della sua genialità, delle sue idee.

La terra chiama ma, per il lettore, potrebbe sembrare anche che a chiamare, o meglio, a chiamarci sia, soprattutto, la sua scrittura.

Una scrittura che avvicina, chiama e a cui rispondere.

La sua è una penna onesta, limpida, scorrevole, ironica e piena zeppa di riferimenti culturali e cinematografici che, anche se non li cogliessimo, non toglierebbero nulla al piacere di godersi la sua verve creativa e la sua originalità.

Si percepisce subito che proviene dal mondo del turismo, del marketing e della managerialità; è chiaro per gli addetti ai lavori come è chiaro per i non addetti.

Quante volte abbiamo sentito di un ritorno alla terra? Almeno da venti anni a questa parte.

Cosa ha di originale il libro di Valentina Boachetto Doorly? Il fatto che dopo la pandemia COVID-19 questo ritorno non è più visto come mera chimera ma come fattivo, concreto, essenziale, da fare subito per invertire i trend e perché una certa “Pippi Calzelunghe” (come la definisce l’autrice), una certa millennial di nome Greta, sta gridando in faccia al mondo una verità scomoda e, per questo, vera.

L’autrice parla, infatti, della favola del “Re Nudo” per introdurre i “breakers”, ovvero, quelli che, a livello prettamente filosofico, siamo soliti chiamare “guastafeste”.

Lo era Galileo (guastafeste) e lo era Hannah Arendt; persone, personaggi, che rompono gli schemi e non accettano i paradigmi e le recite vigenti.

A differenza dei “bari”, non stanno alle regole del gioco per imbrogliare ma per mostrare l’inconsistenza di quelle regole.

Oggi, i breakers, sono i nuovi coloni che tornano alla terra grazie a progetti innovativi e grazie a Regioni illuminate, come la Regione Toscana, che li sostengono attraverso la “Banca della terra”, indice di una politica lungimirante che prevede e anticipa questa richiesta sempre più massiva da parte di nuovi coloni che non percepiscono l’agricoltura come ultima possibilità e marginalità sociale ma la scelgono consapevolmente dopo percorsi di studi e varie lauree, anche in settori diversi, che non fanno altro che aggiungere innovazione in un campo considerato arretrato.

Abbiamo i coraggiosi (il coraggio è una qualità più volte rammentata nel saggio) highlanders che sono dei ritornanti, generazioni dopo, alle montagne.

Ci sono le loro storie, una a una, che ci coinvolgono, ci entusiasmano e ci portano a fare il tifo per loro, per i loro progetti che non sono solo loro perché riguardano tutti noi.

Questi breakers, questi guastafeste, sono soprattutto donne, e formano tessuti collaborativi, inclusivi, inaugurando quell’antico “villaggio” di mutuo soccorso che ha permesso la nostra sopravvivenza.

Difficile da intendere questa collaborazione sostanziale per noi, “urbanite”, troppo abituati alle nostre malsane e poco lungimiranti competizioni.

In questo saggio la sostenibilità, l’ecologia, non sono parole vuote ma concrete e fattive di cambiamento, passo dopo passo, persona dopo persona, zanzara dopo zanzara.

Anche la creatura più piccola può fare la differenza anche se non si vede, anche se non ce ne accorgiamo.

Questo saggio di Valentina Boachetto Doorly apre porte, finestre, veri e propri viaggi mentali.

Vede i contadini, questi nuovi contadini per scelta e per cultura, come i nuovi nobili e pittori di paesaggi.

Vede nel turismo verticale, ovvero nel turismo vicino, lento, nei piccoli borghi, un recupero del turismo come era in origine, partecipato e vissuto; e non una bulimia che nulla lascia e impoverisce l’esperienza del turista e del posto visitato.

C’è una dimensione lenta, rispettosa e sacra di turismo, terra, montagna.

Non a caso si parla anche dei vari “cammini”, nati come mete religiose, e che sono un recupero di quel turismo lento, partecipato e rispettoso del territorio che era un’esigenza che c’era già da anni e che ha avuto un’impennata con la pandemia da COVID-19.

Personalmente questo libro lo sento “dentro” perché ho vissuto per anni in uno dei comuni attraversati da uno dei cammini, quello della via francigena.

Lo sento dentro per l’insistenza sulle fattorie didattiche e i connessi asili nel bosco dove, inizialmente, avevo deciso di mandare la mia stessa prole, assolutamente non sorda a questa terra che chiama.

E le risposte sono tante, variegate, molteplici, come lo siamo tutti noi. E qui sono attuate da coraggiosi breakers.

Ci troviamo dinanzi al coraggio che non si piega dinanzi ai vari “si dice” della società per la quale se quell’idea non è venuta in mente prima ad altri, allora vorrebbe dire che non era fattibile.

I coraggiosi sanno che è fattibile e sanno che ora è fattibile.

Queste risposte sono attuate principalmente dalle generazioni “in movimento”, generazione X e millennials che ora chiedono calma, respiro, nuove e più ecosostenibili opportunità.

E, soprattutto, non c’è una dimensione individuale ma collettiva, un pensiero che nasce dalla comunità ed è rivolto alla comunità, sebbene parta da singoli individui.

In “Via col vento”, Tara, la terra, era l’unica cosa per cui valesse la pena lottare, l’unica cosa che durasse, perché tutto viene spazzato via con il vento, tranne la terra, appunto.

In “American Psycho”, la scena riguardo la gara sui biglietti da visita è indice di questa società malata che i breakers descritti nel saggio si sono lasciati alle spalle perché non accettano le regole di una società malata e malsana, sono loro le nuove regole e la nuova società.

Come dice l’autrice:

No, non ce l’hanno il biglietto da visita con i titoli altisonanti. Ma sono i nostri nuovi poeti, i nostri nuovi pittori, i nostri nuovi nobili. Per noi stanno disegnando un’agricoltura che guarda ben oltre le zolle e un mondo che ha smesso di camminare guardandosi i piedi.

Un grazie di cuore”.

Un grazie di cuore all’autrice per la sua scrittura viva, intensa, ironica, densa di riferimenti e mai banale che invita a riflettere, anche se non ci dovesse convincere.

E quale augurio migliore se non quello di una lettura accattivante e scorrevole che stuzzica il nostro spirito critico?

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