Recensione: “L’utopia pirata di Libertalia” – La ricerca di un nuovo modello di comunità
L’utopia pirata di Libertalia
di David Graeber
Traduttore: Elena Cantoni
Editore: Elèuthera
Quale bimbo non ha sognato di essere un pirata, di imbarcarsi come capitano di una nave che ostenta una bandiera nera come la pece, impugnando una spada e viaggiando verso mete esotiche e misteriose?
Ciascuno di noi ha giocato da piccino a cercare e trovare tesori nascosti o immaginato di essere una principessa rapita per amore da un pirata e portata via verso un luogo lontano.
Lontano: la chiave del sogno. “Lontano” dalle convenzioni, dalle regole, dagli schemi consueti.
“Lontano” è altrove e il pirata incarna esattamente colui che si muove alla ricerca del non noto, sfuggendo alle costrizioni e alle etichette, rappresentando l’archetipo della libertà.
Il pirata è un anarchico alla ricerca di nuovi mondi in cui realizzare le proprie arbitrarie utopie.
“L’utopia pirata di Libertalia”, di David Graeber, è un saggio che riguarda la ricostruzione storico-antropologica delle gesta dei pirati. Il lavoro meticoloso di analisi di testi storici e le corrispondenze rilevate in terra Malgascia, hanno permesso di tracciare un profilo molto particolare della figura del pirata, che si contrappone in parte alla figura mitologica e ideale costruita negli anni a partire dai salotti europei del 1600.
La versione che noi abbiamo sposato attualmente infatti, proviene proprio dall’immaginario collettivo dei “continentali” di allora. In realtà, racconta in modo meticoloso e dettagliato Graeber, i pirati erano dei veri e propri proletari illuministi, che tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento in Madagascar, non fondarono delle colonie (come gli europei) ma condussero dei veri e propri esperimenti di creazione di nuove società, con la partecipazione attiva delle popolazioni locali e delle donne malgasce.
Le comunità erano libertarie e paritarie e seguivano il modello di quanto accadeva sulle stesse navi pirata.
Il profilo del bucaniere sdentato e del rozzo conquistatore di donne inermi, desideroso di accumulare ricchezze da nascondere è sostituito totalmente da quello di un vero e proprio mediatore culturale, capace di costruire interazioni pacifiche e di integrarsi nella comunità locale, stringendo alleanze con le donne malgasce, che erano delle ineccepibili e valide interlocutrici, mettendo su famiglia e partecipando attivamente alle “Gran Kabary”, che
erano una sorta di riunioni conversative relative alla politica, al denaro, alle leggi e alla guerra.
Dagli studi di Graeber si evince che una società chiamata Libertalia probabilmente non è mai esistita, ma indubbiamente sono esistite numerose micro società fondate su principi di dialogo, libertà e uguaglianza in contrasto all’attitudine dei coloni europei di soggiogare e stravolgere le comunità locali e forzarle verso un’identità sociale di tipo europeista, determinando in tal modo guerre e massacri.
Il saggio, con la sua connotazione di ricerca antropologica, pare sovvertire ogni nostra credenza sui pirati ed eliminare il manto di mistero del quale abbiamo sempre rivestito le loro gesta.
In realtà esso avvalora i nostri miti in quanto l’idea che una società libera possa essere stata ottenuta senza spargimenti di sangue e senza oppressione dell’altro, rende il valore intrinseco delle gesta dei pirati ancora più grande e nobile.