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Intervista: Dioniso, un viaggio nella musica e nella psiche con la band siciliana

Intervista: Dioniso, un viaggio nella musica e nella psiche con la band siciliana Intervista: Dioniso, un viaggio nella musica e nella psiche con la band sicilianaLa band DIONISO nasce in Sicilia nella provincia di Catania a febbraio del 2018. È stato Francesco Campo (chitarrista 15/11/1993), fondatore della band, a contattare Andrea Sciacca (batterista-percussionista laureato al conservatorio 08/12/1995), e insieme cercarono il frontman che trovarono presto in Filippo Ferro (cantante 29/05/2000); la formazione venne completata con l’inserimento di Filippo Novello (bassista-tastierista 11/09/2002). Abbiamo incontrato Andrea, il batterista, con il quale abbiamo affrontato molti aspetti della vita musicale.

Il nuovo singolo si chiama “Solo una vita” e ha un forte contenuto introspettivo, psicologico: ce ne vuoi parlare?

“Solo una vita” per me  rappresenta  una sorta di viaggio tra i meandri della psiche, come appunto anche tu accennavi. Comunque in generale la nostra musica è libera da ogni schema: questo è il nostro terzo brano, abbiamo già pubblicato infatti altri due brani che sono molto differenti anche tra di loro perché  ogni idea alla fine nasce d’istinto, d’impulso, in relazione anche alle emozioni alle situazioni che viviamo in quel momento e anche alla nostra età e al nostro modo di vivere la vita.

Qual è stata la sensazione che stavate vivendo e che vi ha portato a scrivere questo brano?

Qui entra in ballo la cosa bella di essere una band, di essere in quattro a fare musica e ognuno con la propria idea. Dal lato mio, ti posso dire che sono un musicista, un batterista, che in questo brano ha avuto tante forme di ispirazione e che ognuno di noi si occupa di qualcosa: per esempio Filippo, il nostro cantante, scrive i testi e noi ci occupiamo delle sonorità. Le fonti di ispirazione per noi sono stati ovviamente i  grandi gruppi rock e quant’altro e ci sono stati alcuni flashback, alcune scene che anche hanno molto impressionato anche me personalmente. Una sonorità per me rilevante e bellissima è quella della doppio manico, della chitarra che si sente nel ritornello, quell’arpeggiato che è fatto con la stessa chitarra che usavano i i Led Zeppelin in Stairway To Heaven. Un’altra chicca è la sceneggiatura del video, nel quale ci troviamo in un antico teatro greco e li ho avuto il flash di pensare per esempio a Echoes da Pink Floyd Live at Pompeii. Queste piccole cose poi alla fine non farlo di per sé la canzone,ma tutte queste piccole sfaccettature e dettagli sono rilevanti, hanno una valenza importantissima. Sul momento tu hai un pensiero, che può essere un’immagine, un’emozione, una visione, la cosa bella è concretizzare, metterlo per iscritto.

Tu hai detto una cosa che ritengo importante: essere una band significa lavorare in gruppo e fornire ognuno il proprio contributo. Ma come siete diventati una band? 

Il nostro percorso è stato molto semplice perché, al di là che prima Francesco, il chitarrista,ha incontrato me, poi è venuto Filippo e poi l’altro Filippo alle tastiere e al basso, tutto è nato perché noi condivididevamo la passione per la musica rock, il blues, i Led Zeppelin, i Doors. Tutti noi, ognuno a suo modo, veniamo da quel mondo e quindi è stato bello mettere insieme, tutti e quattro, delle idee che per quando possano essere divergenti convergono poi in unico genere. Il nostro primo pensiero è stato quello di suonare Blues, la musica che ci piace, ma poi abbiamo capito se magari sarebbe stato bello, fino a sentirne la necessità, andare oltre e fare la nostra musica e buttarci in questo mondo.

Hai citato come modelli dei grandi gruppi rock, dei veri e propri mostri sacri, ad esempio Stairway To Heaven. Che effetto vi fa sapere che questi brani sono stati scritti 50 anni fa, addirittura 30 anni prima che voi stessi nasceste?

Non ci penso, non ci voglio pensare, non credo che sia musica vecchia e comunque non ci facciamo condizionare dal fatto che sia una musica di 50 anni fa. Io poi ho il gusto del vintage e quella è proprio la musica che riesce a emozionarmi. Non voglio con questo sminuire la musica del presente, quella che esce tutti i giorni, anche perché noi viviamo in pieno consumismo in tutti i settori. La musica che ho citato è quasi un ritorno alle origini, un po’ come quando esci da casa ma poi quando torni ti trovi sempre bene. Stairway To Heaven è la metafora di quello che ho espresso ma non vanno dimenticati altri pilastri, come ad esempio i Beatles.

Cosa pensi del fatto che la grande maggioranza dei personaggi che salgono poi alla ribalta della scena musicale vengano dai talent show?

Un talent può essere un’ottima vetrina, se sei un artista che vale e che ha un gran carattere. Ma se invece l’artista è fragile e si fa prendere la mano rischia di diventare un fuoco di paglia, avendo il suo momento di forte esposizione mediatica grazie alla televisione, ma poi cessa tutto all’improvviso. Prima di fare un talent ogni artista dovrebbe essere sicuro di quello che fa a prescindere, essere cioè cosciente della propria musica e delle proprie sonorità.

I grandi artisti del passato (tu citavi Jimi Hendrix) conquistavano il pubblico e nutrivano la propria leggenda sul palco, mentre oggi quello è quasi un punto di arrivo mentre il lavoro di costruzione si fa nei social network…

Io penso che tra gli artisti e il pubblico ci debba essere uno scalino e che la grandezza dell’artista si misuri nella capacità di scendere quello scalino e stabilire un contatto con il pubblico. I social sminuiscono un po’ questo concetto, poiché il rischio è quello di diventare o del tutto scontati o troppo pubblicizzati. Il social è bello se è utilizzato bene: è giusto e opportuno intrattenere i propri fan, ma va trovato un equilibrio tra essere sovraesposti e non esserci affatto. Non va dimenticato poi il fatto che un artista live rimane decisamente più impresso di chi appare sui social. In questo non è cambiato nulla dagli anni Settanta a oggi, i concerti dal vivo sono sempre un’esperienza unica. I social sono una vetrina che, se usata bene, consente di sfruttare i nuovi mezzi di comunicazione del ventunesimo secolo.

Che risposte sta dando il vostro ultimo brano “Solo una vita”, che sentimento avete?

Abbiamo avuto delle ottime risposte, il brano è piaciuto molto, così come il fatto che siamo stati noi stessi e si sente. Chi ci ascolta apprezza la  differenza tra i vari pezzi che sono usciti, le  sonorità, i testi sono talvolta più romantici, talvolta maggiormente introspettivi, e ci fa i complimenti perché nota nota quanto impegno stiamo mettendo nella nostra musica e quanta sincerità c’è in quello che facciamo.

Quale sarà il prossimo passaggio? Cosa bolle in pentola?

È una domanda un po’ spinosa, perché l’ultimo DPCM ha messo la musica un po’ “di lato”. Il progetto è quello di far uscire altri singoli che anticiperanno il nostro album. Per il momento dovremo mettere in piedi un “piano B”.

In questo senso i social possono essere un ottimo modo per rimanere in contatto con chi vi segue e annunciare ciò che farete in futuro…

Come dicevo prima, i social sono un ottimo mezzo se utilizzati bene. Il live però rimane imprescindibile, è il mezzo per scendere quello scalino di cui parlavamo ed entrare in contatto con il pubblico. E lo dico pur apprezzando i social, sono il primo a utilizzarli. Noi musicisti non siamo abituati a lavorare solo in studio, la nostra musica è suonata dal vivo, abbiamo cominciato live e questa è la nostra forza. Oggi si usano tanti suoni campionati, le basi, mentre noi vogliamo e ricerchiamo di più e questo è il senso della musica dal vivo, come succedeva 50 anni fa con gli artisti che abbiamo citato.

Ascolta “Solo una vita” su Spotify

 

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