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La luna storta di Francesco Tozzi – Il privilegio

La luna storta di Francesco Tozzi - Il privilegio La luna storta di Francesco Tozzi - Il privilegioIl privilegio

Sento dei rumori venire dal piano di sopra.

Spostano dei mobili, li muovono. Forse stanno…Ma a me che importa?

Nel frattempo il film va, un brutto film, di Nanni Moretti, dove lui è vestito da prete e fa la lezione a questo e a quello, come al solito.

“Praticamente Moretti non scrive sceneggiature; pensa a come mascherarsi ogni volta per fare lezioni agli altri: “ma come parla/ma tu che fai/ma come vivi?”. Madonna perché ho preso in prestito ‘sto film?

Ancora rumori. Sempre gli stessi.

Prendo un sorso di birra, sgranocchio una patatina, addento un pezzo di salsiccia.

“Un boccale” penso “Dovrei comprarmi un boccale, uno di quelli piccoli, che usano a Trieste nei buffet, né troppo grandi né troppo piccoli”.

Ancora rumori dal piano di sopra.

E’ chiaro: sono in due, alle prese con la loro vita e con le piccole beghe quotidiane di chi ricomincia a convivere. Si tengono d’occhio, è certo, attraverso le azioni quotidiane. Fanno a gara a chi tiene di più alla casa e alle cose che ci stanno dentro. Quando poi arriverà un figlio… ma senza fretta.

“Certo che spiare la vita così, dai suoi rumori…” penso. Li sento incombere, io, i rumori della vita, delle responsabilità. Del giudizio.

“E anche gli altri. Sì, anche gli altri si sentono come me. Siam qui tutti a rincorrere o a rincorrerci per dimostrarci più aderenti possibile a qualcosa di genericamente accettato, amato, condiviso da tutti.”

Silenzio.

“Dio, che ci faccio qui?” penso. “Non dovrei essere… Dove dovrei essere, in questo momento, invece che qui? A mangiare salsicce, patatine e a bere birra, davanti a un film che mi fa cagare? Dove vorrei essere, soprattutto. Come vorrei essere? Fruire di qualche privilegio – uno pur che sia – tanto oggi, dicono, siamo tutti privilegiati, anzi: dovremmo vergognarci di essere privilegiati come siamo quando c’è gente che… che… che dice di non essere privilegiata quando poi lo è davvero.”

Silenzio. Poi i rumori tornano.

“Dio” penso “Perché un bel tacer non fu mai scritto? Che vogliono questi rumori, da me? Dagli altri come me? Cosa vogliono gli altri da noi? Perché, soprattutto vogliono qualcosa da noi? Non ho già abbastanza debiti? Ci mancano solo gli altri! E PIANO, CAZZO! OH! MA DOVE SIAMO, A GIOCHI SENZA FRONTIERE?! MA CHE STATE A FA’, LASSU’, LE GRANDI MANOVRE?! SONO LE NOVE DI SERA, CRISTO!”

Silenzio.

“Va sempre così. Adesso tutto tacerà, almeno fino a domani. Per le scale incontrerò quei due, ci saluteremo come se niente fosse successo, e la sera ricomincerà tutto: rumori e silenzio, rumori di risate complici e silenzio, poi urla, poi silenzio, poi silenzio. E io, io non avrò, nn potrò avere niente di cui lamentarmi, perché io ho un lavoro, perché io amo il mio lavoro, perché ho uno stipendio e tanti progetti, perché io, insomma, se io pure mi deprimo dove andiamo a finire? Ma pensa a quelli che… Ma pensa a quelle che…”

Penso solo al silenzio, io. Ora penso solo a quello. Che mi trapana il cervello. Come e peggio delle chiacchiere degli altri.

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