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La luna storta di Franesco Tozzi: il tramonto dell’Occidente

La luna storta di Franesco Tozzi: il tramonto dell'Occidente La luna storta di Franesco Tozzi: il tramonto dell'Occidente

Il tramonto dell’Occidente

Passo di fronte a uno dei bar-pasticceria più frequentati della città, e mi chiedo mestamente cosa continuiamo a chiacchierare su argomenti come “pace”, “diritti umani”, etc.

Dico così perché il famoso (o famigerato) tramonto dell’Occidente, io lo vedo tutti i giorni.

Ci pensate? Pensate a un tramonto doloroso che si ripete all’infinito. Un supplizio a metà tra quello di Prometeo e quello di Tantalo. Dolore e fatica si mescolano, e l’impotenza ci distrugge.

Penso molte cose cattive; le scrivo. Penso che un essere umano capace di parcheggiare una macchina su una curva pur di andare a prendere caffè e cornetto sia capace di tutto. Infatti apro i social e mi viene da vomitare, perché la stessa persona posta un video di profughi palestinesi chiedendosi dove sia finita l’umanità.

Glielo direi volentieri io, dov’è finita. Nel suo caffè. O nel ripieno del suo cornetto.

Perché sono sicuro, tristemente sicuro, che siano diventate quelle le sue, le nostre priorità. E che, come in quel racconto di Calvino, il popolo farà la rivoluzione quando gli verrà tolto il superfluo. Ma il superfluo non scomparirà mai, ne sono convinto.

Perché fa comodo (è il caso di dirlo) a noi; perché fa comodo a chi ci governa; perché fa comodo al barista, al proprietario del bar, al cliente, all’uomo che abita di fronte al bar e che, è vero, bestemmia a bocca chiusa per via dell’afflusso di macchine, però vuoi mettere? Adesso ho il bar-pasticceria più frequentato della città di fronte casa: mi basterà scendere le scale, entrare, fare 50 minuti di fila per un bombolone e un caffè e il gioco è fatto. Ci sono anch’io. E vuoi mettere l’essere con l’esserci? Non c’è paragone.

“Picchieremo sulla testa di tutti quei piccoli Catoni come voi” dice Rameau al signor Diderot. Già perché, pur di non vederlo, quel tramonto di cui sopra, saremo disposti a tutto, anche a negare l’evidenza. A dire che il bianco è nero (e viceversa), e che il buono è cattivo (e viceversa). A credere alla prima notizia rassicurante, a ripeterla pappagallo, a postarla, a condividerla, a invitare a condividerla, perché il nulla, quando è moltiplicato, dà una paradossale sensazione di serenità.

Questo è il tramonto perpetuo al quale si assiste mattina dopo mattina. Vederlo o non vederlo, accorgersene o non accorgersene, sta solo a noi. C’è chi, come Edipo, dalla notte dei tempi, preferisce non vedere più – ciascuno a suo modo.

Io penso sia necessario continuare a guardare, continuare a chiedersi, onestamente, se una cosa è normale, per noi, per gli altri, per tutti.

Così, per non morire di eccessive certezze, mentre tutto tramonta e tramonta, giorno dopo giorno.

E i clacson strombazzano. E la gente ride. Mentre prende il caffè.

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