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Recensione: “La civetta cieca”. Un capolavoro della letteratura persiana moderna

Recensione: “La civetta cieca”. Un capolavoro della letteratura persiana moderna Recensione: “La civetta cieca”. Un capolavoro della letteratura persiana modernaSadeq Hedayat, autore del libro “La civetta cieca”, edito da Carbonio editore che ci regala pubblicando questo capolavoro della letteratura persiana moderna, una vera e propria pietra miliare.

La civetta cieca” è una storia di discesa agli inferi senza ritorno, un viaggio allucinato eppur consapevole negli abissi della coscienza. Quasi fosse un sonnambulo, la mente ottenebrata da oppio e alcol, Hedayat, nella voce di un miniaturista di portapenne, ripercorre le vicende di un’intera vita, in un fluire di immagini che attraversano il giorno e la notte, l’amore e la morte.

Il resoconto lirico e terribile di questo viaggio è un libro senza tempo che appartiene a buon diritto ai capolavori del Novecento. Il simbolismo e l’esistenzialismo francese, alla cui scuola Hedayat si era formato, incontrano la cultura orientale in un componimento di rara profondità e bellezza. Tradotta per la prima volta in italiano direttamente dal persiano, torna in libreria un’opera maledetta finalmente resa in tutta la sua pienezza e restituita al suo splendore più autentico.

La civetta cieca”, fa riemergere una cultura autentica dal passato, nelle composizioni poetiche, nelle usanze antiche che si tramandano tra gli strati più umili della popolazione dove ha scelto di vivere, dove lavora in situazioni precarie, pur essendo un aristocratico, pur potendo ambire a incarichi importanti, ma vive in un mondo segreto ancora ancorato alle origini ancestrali della società persiana.

Nel 1936 Sadeq si reca in India, rimane profondamente influenzato dalla filosofia buddista in qualche modo già presente in lui, in quel suo bisogno di guardarsi dentro, di assecondare alla dottrina i propri comportamenti naturali: è vegetariano, detesta la crudeltà verso gli animali.

Descrive più volte nel suo “La civetta cieca” il macellaio come simbolo di un cinismo che avvelena l’aria di fronte alla finestra dove un vecchio deposita le carcasse di pecore sgozzate, accuratamente scelte dal macellaio, palpate dalle sue luride mani quasi sensuali nel gesto, come se accarezzassero le gambe della sua donna.

Ne “La civetta cieca”, la simbologia è molto importante a partire dal significato appunto simbolico, che non conosce spazi temporali né successioni.

L’incubo continua in una stanza dove il protagonista giace in stato comatoso, non ha un nome, a volte è giovane, a volte vecchio. A volte è simile al vecchio col turbante che stende le poche mercanzie sulla strada, di fronte alla sua finestra. Quel vecchio gli regalerà un vaso vetrificato, con il ritratto di un volto femminile. L’oppio ha annullato tempo e spazio.

Se i miei occhi, chiudendosi, avessero potuto varcare i confini del sonno, del nulla assoluto, dove non avrei percepito la mia stessa esistenza…se fosse stato possibile dissolvere il mio essere in una macchina nera, in una nota musicale, in un raggio colorato.. se queste onde, se queste forme si fossero espanse fino a scomparire…allora sarei giunto al compimento del mio desiderio”.

Sadeq Hedayat (Teheran, 1903 – Parigi, 1951) è stato tra i massimi intellettuali iraniani del XX secolo. Di famiglia nobile, frequentò un liceo francese a Teheran, per poi trasferirsi in Belgio, a Parigi e successivamente in India. Studioso della letteratura occidentale, della storia e del folklore dell’Iran, tradusse numerose opere in persiano e fu autore di romanzi, raccolte di racconti, saggi critici e opere teatrali. Morì suicida a Parigi. Pubblicato a Bombay nel 1936, La civetta cieca poté cominciare a circolare in Iran soltanto nel 1941, dopo l’abdicazione di Reza Shah Pahlavi, e tuttora subisce una forte censura in patria.

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