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Recensione: “Masen’ka” – L’importanza dell’attesa

Recensione: "Masen'ka" - L'importanza dell'attesa Recensione: "Masen'ka" - L'importanza dell'attesaMasen’ka
di Vladimir Nabokov
traduzione di Franca Pece
Adelphi Editore

Vladimir Nabokov, scrittore, saggista e scacchista, di nobile famiglia russa di San Pietroburgo è stato uno dei protagonisti della letteratura mondiale del ‘900. Raggiunge la popolarità planetaria con Lolita, uscito nel 1955, anche grazie all’omonimo film di Stanley Kubrick del 1962. La famiglia Nabokov abbandonò la Russia dopo la rivoluzione del 1917 per recarsi in una tenuta di alcuni amici in Crimea, dove rimasero per un anno e mezzo. A seguito della disfatta dell’Armata Bianca in Crimea, abbandonarono definitivamente la Russia e si trasferirono in Occidente, in Gran Bretagna. Nabokov nel 1925 sposò Vera Slonim, a cui dedicò Mašen’ka (Maria), suo primo romanzo, uscito nel 1926.

Che si tratti di un’opera d’esordio informa lo stesso Vladimir Nabokov nell’introduzione all’edizione inglese del romanzo, intitolato Mary, del 1970, dichiarando come «La nota propensione dei principianti a violare la propria vita privata inserendo sé stessi, o un sostituto, nel loro primo romanzo è dettata, più che dall’attrattiva di un tema già pronto, dal sollievo di sbarazzarsi di sé prima di passare a cose migliori».

In questo caso quello che l’autore deve abbandonare sono i giorni degli amori di gioventù e lo fa tramite il personaggio di Ganin, émigré russo che agli inizi degli anni Venti del secolo scorso conduce un’«insulsa indolenza» a Berlino, vivendo in una squallida pensioncina gestita dalla signora Dorn, una vedova che dopo la morte del marito, ha trasformato il piccolo appartamento borghese, segnato dal passaggio dei treni, in un’affittacamere.

Una sorta di estremo lembo di umanità che vede la presenza di un vecchio poeta russo in attesa del visto per emigrare in Francia, due ballerini classici «leziosi e incipriati», e una formosa ragazza. A dare una sferzata alla scialba vita di Ganin, sarà Alferov, uomo vuoto e presuntuoso che attende l’imminente arrivo della moglie di cui mostra orgoglioso una fotografia a Gamin.

In quell’immagine il giovane emigrato riconosce Masen’ka, il suo primo amore. Il romanzo a quel punto si impernia nella narrazione degli ultimi quattro giorni che separano Ganin dall’incontro con la mai dimenticata Masen’ka. Un periodo breve ma sufficiente per rivivere la stagione dell’adolescenza passata con lei nella grande casa di campagna, la patria ormai perduta così come quel tempo felice. Un’attesa spasmodica, altalenante tra i ricordi passati e i nuovi progetti futuri, destinata a suggellare giorni che saranno «i più belli della sua vita».

L’attualità di questa opera-prima dello scrittore russo-americano, è da ricercarsi in quello che ci insegna sull’importanza dell’attesa. I quattro giorni che separano il protagonista dall’arrivo della sua amata, sposata a un altro uomo, lo portano da uno stato di ’«insulsa indolenza» a un momento ricco di ricordi, azioni e progetti.
Nel romanzo l’attesa, quindi, è uno spazio luogo-tempo pieno, da non sprecare e da cui si può uscire trasformati, come succede a Ganin. Una grande lezione per noi contemporanei, refrattari al fascino dell’attesa, che quando proprio ci tocca, riempiamo con le immagini di Istagram e i messaggi di Whatsapp.

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