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IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO – Correva l’anno, il mese, il giorno… 18 novembre 1962

IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO - Correva l’anno, il mese, il giorno… 18 novembre 1962 IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO - Correva l’anno, il mese, il giorno… 18 novembre 1962

Correva l’anno, il mese, il giorno… 18 novembre 1962

Sul finire del 1962, a metà novembre, dopo gli improvvisi fuochi d’artificio dei due anni precedenti, il miracolo economico è ormai una realtà. Perciò, mai come adesso, è tempo di bilanci. Le cifre raccontano di un’accelerazione vertiginosa: il PIL si conferma su percentuali altissime, la produzione di automobili supera le 700mila unità, le televisioni presenti e funzionanti sono circa tre milioni, i telefoni 4 milioni e mezzo. Rispetto a dieci anni prima è raddoppiato il numero degli alunni che proseguono gli studi dopo le elementari (2 milioni e 380mila contro il milione e 190mila del 1952) e degli iscritti all’università (300mila contro 130mila).

Ci sono però altre cifre, che però all’epoca ci si guarda bene dal diffondere, che dicono e raccontano altro: un inurbamento senza freni e tutto sbilanciato nell’area del triangolo industriale (Milano segna +845mila abitanti rispetto all’inizio del boom, Torino +640mila, Genova +130mila) genera di contro uno spopolamento spaventoso dei centri rurali e ovviamente del sud in generale (in Sicilia si registra un -460mila abitanti, in Puglia -410mila, in Calabria e in Campania -345mila). Gli interventi per l’annosa questione meridionale, sintetizzati nell’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, si rivelano uno spreco folle (e con danni sul lungo termine irreparabili) di denaro pubblico, nonché un mezzo indiretto per agevolare le grandi industrie del nord. Ma non solo il sud: anche il nordest agricolo subisce un esodo senza precedenti.

Il tutto condito dalla grande paura per gli eventi internazionali. Dopo i fatti dell’immediato dopoguerra, la Guerra Fredda torna a toccare punte di tensione altissime, con la crisi missilistica a Cuba che porta il mondo a un passo dal conflitto nucleare. I successi sovietici nella corsa allo spazio con il celebre satellite Sputnik e la costruzione del tristemente celebre Muro di Berlino, eretto appena un anno prima, aggiungono tasselli all’inquietudine.

A fotografare perfettamente – e magnificamente – le contraddizioni del tempo è proprio una canzone: Su cantiam, la sigla di apertura di Canzonissima, il celebre programma musicale alla cui conduzione, da ottobre, era stata chiamata la spericolatissima coppia di attori Dario Fo e Franca Rame, la quale – con parole e musica dello stesso Fo – recitava: «Popolo del miracolo, miracolo economico/ […] Chi canta è un uomo libero/ da qualsivoglia ragionamento/ chi canta è già contento/ quello che non ha./ Su cantiam, su cantiam,/ evitiamo di pensar:/ per non polemizzar/ Facciam cantare gli orfani,/ le vedove che piangono,/ e quelli che dimostrano lasciamoli cantare./ Facciam cantare gli esuli,/ quelli che passano le frontiere,/ assieme agli emigranti/ che fanno i minator». (https://www.youtube.com/watch?v=ekCJT5Om3HU)

Decisamente troppo, per quel 18 novembre 1962. In un frangente storico in cui dire la verità è praticamente reato, Dario Fo e Franca Rame vengono sospesi da Canzonissima dopo poco più di un mese di conduzione. In contemporanea, il clima di quasi neo maccartismo e neo quarantotto, fa tuonare illustri esponenti vaticani contro Enzo Biagi, reo di aver ospitato in RAI il segretario del PCI, Palmiro Togliatti. Biagi tuttavia, a differenza della premiata ditta Fo-Rame, resterà al suo posto.
Su cantiam, per quanto con la satira riesca a cogliere il proprio tempo come nient’altro, non entra certo in classifica. La Top Ten di quel 18 novembre è infatti lo specchio della spinta contraria, del disimpegno a tutti i costi, di un’idea del tutto falsata di un paese pacificato e privo di increspature. In altre parole, nelle canzoni che dominano la classifica dei singoli il paese reale non esiste, ma imperversa incontrastata la dimensione privata, amori più o meno intensi, più o meno struggenti o, al massimo, innocenti motivetti scanzonati.
L’onnipresente Celentano, vero e proprio “cannibale” delle classifiche della prima metà dei Sessanta, occupa addirittura le prime due posizioni. In testa
Pregherò (https://www.youtube.com/watch?v=GoucL99qdVo), versione italiana del sublime capolavoro di B.E. King Stand By Me. La versione del molleggiato è senza dubbio splendida; ma non si può fare a meno di pensare come quel «pregherò» conferisca all’inno all’amore come sostegno nei momenti più bui di King un senso mistico e religioso che, visto il contesto in cui spopola, suona come una presa di posizione, una rassicurazione alla massa contro la fobia del comunismo.
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Al secondo posto troviamo
S’è spento il sole (https://www.youtube.com/watch?v=EZtuy25XXm8), un classico tango arrangiato con profusione di archi ad accentuare la drammaticità del testo, che racconta lo struggimento di un abbandono (ovviamente per colpa di una donna crudele che si è data a un altro).
Sempre l’inganno e il tradimento, e la sofferenza di un cuore infranto, da parte di una donna insensibile, sono la base di
Addio mondo crudele, singolo di Peppino Di Capri che staziona al nono posto (https://www.youtube.com/watch?v=MvyQABy8DWc). Il brano, raccontando l’amore infelice di un clown per una trapezista, può giocare sull’effetto contrappunto, per cui allo struggimento del testo risponde una marcetta circense. Ma sempre di amori sventurati e non corrisposti si parla.
L’altra lingua del disimpegno, ovvero il motivetto scatenato senza altre pretese che non siano un ballo senza pensieri, la troviamo al terzo posto, dove c’è la celebre
Speedy Gonzales di Pat Boone (https://www.youtube.com/watch?v=ajEkzwf7WNY). Innocua e irresistibile.
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Ma attenzione al decimo posto, dove a sparigliare tutti i nostri discorsi si affaccia un brano che non strizza l’occhio a niente e che non rappresenta altro al di fuori di se stesso, perché altro non è che un assoluto capolavoro assoluto e senza tempo. La splendida, meravigliosa e commovente
Io che amo solo te di Sergio Endrigo.

Uno di quei brani talmente belli da non raccontarci altro se non l’essenza più alta e autentica dell’arte: emozionare. Senza altro da aggiungere.

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