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La luna storta di Francesco Tozzi – Il sogno di una cosa

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Il sogno di una cosa

Uno resterebbe volentieri sveglio, la notte, per pensare, lavorare, produrre; perché la notte – lo dicono tutti, giusto? – è “la parte migliore della giornata, più fertile per un artista, uno scrittore. No?

No.

Io, la notte, dormo. Perché voglio svegliarmi presto, non date retta a quelli che dicono “la notte è magica” etc.; tutte cavolate inventate dagli alcolizzati o dai pervertiti. Lo so io perché a molti piace la notte: perché non si vede niente, la notte.

Ieri notte dicevo, come ogni notte, dormivo. E ho sognato le cose che da svegli tutti vediamo pure se facciamo finta di niente: un ristorante intero pieno di deficienti che mangiano come fosse il loro ultimo pasto prima della sedia elettrica (magari!) e parlano, col cellulare davanti, al cellulare. A voce alta. Dicendo minchiate.

Io, intanto, sono seduto davanti a una tipa; sto cercando di spiegarle che sì, ho un caratteraccio, e mi spiace molto di aver detto a suo fratello (interista) “gli scudetti non si perdono, si possono solo vincere” ma che, almeno, io, con le persone, quando ci litigo, ci parlo. Non faccio come Scanzi con Sgarbi (o viceversa).

Soprattutto non faccio come tutti quelli che, in quel preciso istante, ci attorniano, circondano, attanaglia…LA VOGLIAMO FINIRE?! LA ABBASSIAMO LA VOCE SI’ O NO?!

Si fermano tutti. Mi guardano tutti.

Non mi rispondono – del resto è normale, penso, non ci sono più abituati – ma, dopo quei pochi secondi di quiete, riprendono a parlare dicendo “minchia bro, non so che minchia sia successo; ma ora torniamo a parlare di ‘sta cacio&pepe da sturbo!”.

Mentre la tipa continua a dirmi che sono impossibile, incorreggibile e che, per giunta, tifo Milan – che nella sua famiglia è una specie di stigma – io mi volto a guardare lo spettacolo pietoso che mi circonda e penso, mi chiedo: “chi c’è dall’altra parte dello schermo perché questi/e signori/e siano così interessanti?”

Mi sveglio, accendo la luce. La stanza mi appare improvvisamente davanti con tutte le cose nel mio disordinato ordine riposte dove devono: i libri impilati secondo il mio gusto – il teatro sopra tutto, i libri “fondamentali”, gli Adelphi in uno scomparto a parte – i miei vestiti poggiati sull’ometto di legno comprato a quella fiera tanto tempo fa, i manifesti dei miei film preferiti che incombono su di me come dei numi tutelari.

Mi volto: accanto a me, nessuno. Sono solo e il mondo è vuoto.

Vorrei tornare nel sogno, vorrei tacitare la tipa facendo qualcosa di concreto: forse dovrei baciarla, portarla via da quella specie di suk di influencers, caricarla sulla macchina e andare verso il mare. Oppure semplicemente chiederle scusa e dirle che non mi frega niente se la sua famiglia è tutta interista: andiamocene al mare, prendiamoci uno spaghetto con le vongole e un bicchiere di vino; poi tornerà il weekend, certo, e dalle 20.45 (o dalle 18) in poi forza Milan fino alla morte, però adesso dobbiamo parlare e stare insieme. Perché sennò siamo fritti. Perché sennò non ci resterà altro da fare che consigliare cose agli altri, buttare i nostri soldi mangiando e bevendo piatti che non ci potremo ricordare, solo per avere la speranza che qualcuno ci scriva “bravo” nei commenti sotto; oppure che qualche hater ci dia l’occasione di sfogare la nostra rabbia repressa in una discussione senza senso. Ma lì, nella mia camera, non c’è nessuno. Solo io, i miei libri e la mia pervicace convinzione che, più d tutto, dobbiamo far tornare a parlare la gente.

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