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Recensione: “Emil Cioran, L’orgoglio del fallimento. Lettere ad Arşavir e Jeni Acteran”

Recensione: "Emil Cioran, L’orgoglio del fallimento. Lettere ad Arşavir e Jeni Acteran" Recensione: "Emil Cioran, L’orgoglio del fallimento. Lettere ad Arşavir e Jeni Acteran" Emil Cioran, L’orgoglio del fallimento. Lettere ad Arşavir e Jeni Acteran
a cura di Antonio Di Gennaro
edizioni Mimesis

Nell’introduzione al libro, Di Gennaro sottolinea:
L’amicizia con Arşavir e Jeni Acterian gioca un ruolo centrale, di assoluto rilievo e si protrarrà nel corso di una vita intera, nonostante le difficili condizioni storiche e strutturali della Romania e i due periodi di detenzione e rieducazione politica che riguarderanno Arşavir, dove conoscerà in pieno regime comunista l’inferno delle carceri di Jilava, di Aiudi e il campo di lavoro forzato a Canal sul Danubio“.

Tale amicizia straordinaria è raccontata attraverso la corrispondenza epistolare intercorsa tra Cioran e Arşavir e Jeni Acterian. Scrivere una lettera è un infallibile strumento di autoanalisi e di riflessione.
Di fronte a un foglio bianco i nostri pensieri si dispiegano e si rivelano le nostre vere intenzioni.

Emil Cioran già da giovanissimo,si fece notare all’università di Bucarest, per la sua brillante intelligenza, per la cultura e per la personalità più che notevole. Filosofo, storico, con propensione per le lingue straniere, scrisse per tutta la sua lunga vita. Agli inizi della sua carriera di scrittore fece il servizio militare detestandolo. Poi vinse una borsa di studio a Berlino, ma anche l’università lo deluse e frequentò pochissimo le lezioni.

Proprio a Bucarest, il solitario Cioran incontrò per caso, in biblioteca, Arşavir Nazaret Acterian, giovane e brillante giornalista di origini armene, e attraverso lui conobbe la sorella minore Jeni.

Scrivere una lettera dilata il tempo e lo moltiplica: il tempo di chi scrive, un tempo lungo e riflessivo, il tempo di chi legge, a volte rapido e curioso, a volte rilassato e compiaciuto. E infine c’è il tempo della memoria, quello in cui la lettera continuerà a vivere per chi l’ha scritta e per chi l’ha ricevuta, custodita gelosamente in un cassetto, ripresa in mano più volte per essere letta e riletta o conservata in maniera indelebile nel pensiero.

Nelle lettere raccolte in questo testo possiamo ritrovare l’uomo Cioran, inquieto, pensoso, in continuo vagare per mezza Europa, alla ricerca del suo luogo ideale. In un soggiorno in Germania, ha persino una fugace passione per il nazismo,che poi rinnegherà. Scelta come sua nuova patria la Francia, inizia a scrivere, diventando il più famoso scrittore europeo di lingua francese.

Scrivere una lettera è anche un atto di grande generosità e di apertura nei confronti del destinatario, a lui pensiamo costantemente mentre scorrono le parole sul foglio, a lui che leggerà, alle reazioni che potrà avere e all’idea che si farà di noi.

Attraverso le parole scritte di Cioran traspare la “malattia che non si vede”, ma che fa soffrire terribilmente: la depressione. Il depresso è una persona cupa, pessimista, ipocondriaca.
In una delle lettere all’amico Arşavir, lo scrittore lamenta malanni evidentemente inesistenti, che descrive con precisione, ma che non gli impedirono di arrivare alla bella età di ottantaquattro anni.
Anche la sorella di Arşavir, di cui era innamorato, Jeni Actrian, era depressa, la sua depressione tuttavia traeva origine  dal morbo di Hodgkins di cui era affetta.
Cioran arrivò persino a vagliare la possibilità di sottoporsi all’elettrochock. Questo lo avrebbe reso forse un “uomo tranquillo”, ma non avremmo potuto leggere i suoi splendidi libri, intrisi di nichilismo, di passione per Eschilo e per le religioni dell’estremo Oriente.
Scrivere una lettera può diventare un gesto magico e trasmettere tutta la forza emotiva contenuta e tutto il vissuto di cui è intrisa a un numero infinito di lettori. Così è con le lettere di Emil Cioran.

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