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Recensione: “Il buio non consola”, in bilico tra tenerezza e angoscia

“Jen fece una pausa di un secondo, anche meno. -Tesoro- disse, -è solo tremendamente difficile per noi, per tuo padre e me, vedere che… che ti fai del male.-”

Come si fa a restare in bilico tra tenerezza e angoscia? Emma Healey nel suo ultimo romanzo,Il buio non consola edito da Mondadori, riesce a farci vivere in questo precario equilibrio.Recensione: "Il buio non consola", in bilico tra tenerezza e angoscia

Tutto inizia con un lieto fine, una figlia adolescente, problematica, incline alla depressione e all’autolesionismo, dopo essere sparita nel nulla per giorni, viene ritrovata e torna a casa. Da qui in poi, prende il via il viaggio delle domande senza risposta. Perchè? Dove? Come? In un susseguirsi di dialoghi silenziosi di una madre, con se stessa e le paure e i sensi di colpa, si arriva gradualmente alla verità.

Il romanzo tocca più corde, esibisce una netta distinzione tra la vita interna dei personaggi, e lo spazio esterno del mondo. Un processo continuo di richiami, dissonanze, che conduce alla percezione di messaggi velati, all’interpretazione di attegiamenti ostili che sottintendono una continua richiesta d’attenzione.

Personaggio emblematico è il gatto immaginario: un essere mitologico frutto della fantasia? O una presenza reale di randagio peloso intrufolatosi in casa in qualche misterioso modo?

E allo stesso modo l’arrivo di una nuova vita, la gravidanza annunciata dalla figlia maggiore, lesbica e single, ha lo stesso sapore tra l’impossibile e il meraviglioso.

Accettare l’una o l’altra ipotesi equivale ad accettare che esista una determinata verità in qualche modo slegata dalla quotidianeità familiare.

Se si ha il timore di vedere qualcosa che non si vuole vedere, in primis bisognerebbe accorgersi che, probabilmente, questo qualcosa c’è, e  allora, potrebbe essere un bene vederlo, così da iniziare un processo di guarigione.

D’altronde non c’è nulla di quotidiano nell’incubo da cui Jen e Hugh Maddox sono appena venuti fuori.

La figlia quindicenne, Lana, è stata ritrovata. Insanguinata, ferita, disorientata, ma viva.

Chiusa nel suo mutismo e nella sua vera o presunta perdita della memoria di quei giorni vissuti lontano da tutti, “Non mi ricordo” sono le uniche parole che riesce a dire.

Per la madre inizia un vero e proprio calvario, che terminerà in una simbolica “discesa agli inferi” ripercorrendo i passi di Lana nella grotta in cui si è smarrita. Grotta dove si leggono una sovrabbondanza di simboli ultraterreni, primo tra tutti una scultura con il simbolo della croce.

Un viaggio quasi mistico, che la porterà a rigenerare e reinterpretare il proprio sentire e  di conseguenza a una comprensione più vera dei rapporti e dei legami con la figlia e la propria famiglia.

E il bilico iniziale tra tenerezza e angoscia, diviene simbolico del bilico più profondo dei due impulsi fondamentali dell’essere umano, “desiderio di vita” e “desiderio di morte”.

Emma Healey (Londra 1985) si è diplomata in Arti e mestieri del libro al London College of Communication e ha un master in scrittura creativa dell’università dell’East Anglia.Elizabeth è scomparsa, il suo primo romanzo, ha vinto il Costa Book Award come miglior romanzo d’esordio.

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