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Recensione: “Il libro della creazione” – E la donna creò l’uomo.

Recensione: "Il libro della creazione" - E la donna creò l'uomo. Recensione: "Il libro della creazione" - E la donna creò l'uomo.

Il libro della creazione
di Sarah Blau,
Carbonio Editore,
Collana: Cielo stellato.

Non c’è sensazione più potente del ritrovarsi nel sentire di un personaggio e scoprirlo nostro: è un’illuminazione improvvisa, un colpo di grazia alla nostra reattività.

No, non siamo gli unici a esserci sentiti così.

Sì, c’è qualcuno che capisce.

L’immaginazione colora altri scenari animati dalla stessa protagonista, che ho appena lasciato tra le pagine chiuse de Il libro della creazione, il primo romanzo di Sarah Blau. Le parole lette possono cambiare la nostra vita o accompagnarla verso la comprensione di alcune questioni emozionali irrisolte.

Telma, una giovane arrabbiata con la vita e con l’immagine di sè che le restituisce lo specchio, illusa e disillusa, stretta nelle tradizioni da cui cerca rifugio nel suo mondo interiore, seppur piatto, monocorde, soporifero e terribilmente vuoto.
Le vecchie e dimenticate usanze si affacciano con prepotenza tra le pagine del libro, occorre coprire gli specchi durante la settimana di lutto, nonna Gerta è morta da pochi giorni, il suo spirito potrebbe intrufolarsi nello specchio e portare con sè chiunque vi si rifletta.

Leggende.

Come quella del Golem. Secondo la leggenda, chi viene a conoscenza della cabala, e in particolare dei poteri legati ai nomi di Dio, può fabbricare un golem, un gigante di argilla forte e ubbidiente, che può essere usato come servo, impiegato per svolgere lavori pesanti e come difensore del popolo ebraico dai suoi persecutori.

Il golem è incapace di pensare, di parlare e di provare qualsiasi tipo di emozione perché privo di un’anima e nessuna magia fatta dall’uomo sarebbe in grado di fornirgliela. Per tenerlo a bada, il suo creatore deve inserirgli in bocca una tavoletta con la parola di Dio.

Si narra che nel XVI secolo il rabbino Jehuda Löw ben Bezalel di Praga, cominciò a creare golem per sfruttarli come suoi servi, plasmandoli nell’argilla e risvegliandoli scrivendo sulla loro fronte la parola “verità”. Per disfarsi di un golem bastava cancellare quella parola. Quando Jehuda decise di smettere di servirsi dei golem, li nascose nella soffitta della Sinagoga Vecchia-Nuova, nel cuore del vecchio quartiere ebraico, dove, secondo la leggenda, si troverebbero ancora oggi.

Ed è proprio in soffitta che viene ritrovata inerme nonna Gerta.
“L’abbiamo trovata lassù, appoggiata alla lavatrice guasta, e tutt’intorno gli spessi scaffali di legno con sopra barattoli impolverati pieni di qualcosa che sembra del tessuto vivo. E’ la confettura di pesche dal sapore veneficio e dolce… Non oso guardare ciò che si trova sullo scaffale più alto”.

La soffitta della casa di nonna, con i suoi misteri e i suoi demoni. E Telma con il suo vuoto da riempire, e il Bambi ricamato sul cuscino con i grandi occhi che sembrano prendersi gioco di lei, e l’amore assoluto per il cugino Chanan, e i ricordi sconnessi, una cantilena sconcertante ripetuta all’infinito: “Impasta impasta impasto d’uomo – cuoci la torta di sabbia e sangue – impasta impasta sinchè gonfia …”.

Il libro continua a parlarci del mistero della vita, nel quale l’uomo scopre che il suo involucro terreno è in tutto simile alla tragica plasticità del Golem o alla rigida maschera del demonio Astarotte: una forma vuota fatta per ospitare effimere passioni.

I personaggi finiscono per contagiarci e ci accompagnano verso una migrazione delle emozioni in qualcosa di più concreto.
Allora è vero, si può, scrivere di streghe e emancipazione femminile tutto insieme, nella stessa storia, allora si può mescolare personaggi contemporanei e passati, inventare ed essere quotidiani, lasciar andare la fantasia ma farla muovere in un contesto reale. Il libro ha sbloccato qualcosa, una difficoltà, una insofferenza che tutti abbiamo quando proviamo a scrivere, di dover stare dentro certe regole: la leggenda è la leggenda, la realtà è la realtà.

E invece no, per nulla, hanno diritto di coesistere dentro la stessa storia.

Leggere fa sprigionare la creatività in ognuno di noi, la stessa scena descritta nella trama, può essere immaginata con diverse sfaccettature da ognuno di noi. Se si attiva la creatività, il cambiamento è già in atto, creare vuol dire non scendere a compromessi con nessuna storia.

E così Telma crea il suo Golem. Lei che non è un rabbino, non è un uomo, è una donna che non può avere figli, ma che si rimpossessa della sua facoltà creativa in una maniera alternativa e magica. Ma non crea per placare il suo istinto materno, lei crea per soddisfare la sua sensualità.

“Alzi il viso e lo guardi. La luna è scomparsa. Sai che questo è il momento di dargli un nome, guai a sbagliare, ogni lettera ha la responsabilità di badare a una parte di questo corpo che hai formato”.

Il potere della parola, quella scritta e quella tramandata di voce in voce, di generazioni in generazione, da nonna a nipote.
Il nominare una forza, una creatura, ha un significato magico e augurale. Telma ha infilato un foglietto nella bocca del suo Golem, come leggenda vuole. Lui, nominato Shaul, ubbidiente, esegue ogni suo desiderio, nutre la sua parte più vera.
Ma chi è Telma veramente? Che cos’è la verità? Vi è una sola verità o ve ne sono tante? E se vi è la verità, possiamo realmente conoscerla oppure possiamo solo cercarla senza mai poter dire di averla trovata?

È forse l’ombra ignota che sussurra alle nostre spalle. È l’ultimo vicolo infame della città corrotta. È la mannaia incrostata con la quale vengono perpetrati orribili delitti. È la cantilena ossessiva ripetuta senza fine da voci maledette. È l’uomo di terra che sembra uscire da un incubo allucinatorio. È la congregazione del popolo ebreo così ingombrante, pronta allo sterminio nell’attesa dell’Apocalisse. È il calderone ribollente di nonna Gerta dal quale tracima polpa di pesche infetta. È l’affabulatore cieco che conosce tutte le strade del mondo dei non-morti. È l’indifferenza letale di chi sa ma sceglie di guardare dall’altra parte. Tutto questo e molto, molto di più, è Il libro della creazione.

Ogni pagina letta, raccoglie le nostre emozioni più vere, le nostre paure più recondite e le nostre reazioni più istintive; leggere è come partire per un lungo viaggio dove ci si ritrova sempre a essere sé stessi.

Shaul, il Golem amante di Telma, le concede tutto, ma mai un bacio. L’unico bacio sarà un addio. Le sue labbra si schiudono spingendo il foglio con le parole che lo tengono in vita oltre il confine della sua bocca umida. Ora non è più sotto la sua lingua, ma sotto quella di Telma.

A chi le ha chiesto perchè ha scritto questo libro, l’autrice ha risposto:“Ho scritto questo libro perché dovevo. Perché sentivo che stavo per esplodere. Perché ero infelice e sola e sentivo che il quotidiano non mi bastava più e gli esseri umani non mi bastavano e allora mi sono rivolta a ciò che mi ha sempre aiutato: il passato, le leggende, la tradizione. E mi sono rivolta all’oscura leggenda ebraica che mi ha sempre aiutato: il golem”.

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