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Recensione: “Piscio sull’acqua” – Il brutale disincanto che diviene poesia.

Recensione: "Piscio sull’acqua" - Il brutale disincanto che diviene poesia. Recensione: "Piscio sull’acqua" - Il brutale disincanto che diviene poesia.Piscio sull’acqua di Rachel B. Glaser, edito da Carbonio, è una vera e propria sfida.
La raccolta consiste in 13 racconti visionari, allucinogeni, senza un apparente comune denominatore o un filo logico.
Nell’approccio al testo ci sembra quasi di subire una disordinata marea di concetti e questo accade soprattutto nel corso dei primi due o tre racconti.
La concentrazione però nel corso della lettura si acuisce proprio grazie allo sforzo che compiamo nell’orientarci tra le parole, permettendoci così di scrutare tra le righe di questo esperimento meraviglioso, che da un apparente caos partorisce concetti quasi scioccanti per le verità che con cui ci scuote.
Ogni pagina infatti diventa un vero e proprio schiaffo a mano aperta sul volto. Il disincanto che cogliamo tra le pagine è talmente brutale da assumere forza di poesia.

Nel leggerlo sussultiamo e ci accendiamo ogni qual volta sentiamo di aver trovato la chiave di lettura di un racconto, anche se questa chiave apre porte dell’inconscio non sempre gradevoli da esplorare e soprattutto come in un gioco di labirinti conduce a molteplici ulteriori porte.
Probabilmente, ed è qui la genialità, la suggestione di ogni racconto dipende dalle nostre proiezioni emotive, da quale corda tocchi della nostra interiorità.
Il libro diventa quindi personalizzabile e ciascuno di noi può sentirlo proprio, identificandosi con qualche spunto in un racconto o magari trovandolo repellente.

Le parole e i concetti in questo testo hanno vita propria.
La Sapienza nell’uso delle parole, l’emergere di concetti a partire da altri concetti, i cambi di rotta, determinano un caos che apre infiniti scenari, insights, legnetti (elementi che compaiono in moltissimi racconti) che pungolano la nostra coscienza.
La caotica produzione di elementi che come una matrioska emergono uno dall’altro conducono ad una dinamica in crescendo che inevitabilmente ci avvince.

Le parole evocano concetti straripanti, disordinati, provocanti.
Nell’Ammaestratore di scimmie questo viene quasi “confessato” dall’autrice che ne scrive apertamente:

“Holly aveva infranto il codice degli astronauti e all’inizio questo l’aveva scioccata. Il senso di colpa era straripato diventando rimorso, che le invadeva tutto il corpo. Ma anche Dale aveva infranto un codice. E i viaggi nello spazio erano così sfacciati, di sicuro anche i viaggi nello spazio ne avevano infranto qualcuno.
E tutti i codici vengono infranti, ecco perché la gente continua a stilarli”

I viaggi nello spazio potrebbero corrispondere al nostro cimentarci nella lettura di un testo così anticonvenzionale.
Holly invece potrebbe rappresentare l’autrice e la sua capacità di rompere in modo sfacciato gli schemi di una scrittura convenzionale.

Nella “Fidanzata triste” e nel “Le due Ellen” invece è il tema dell’amore a essere trattato in modo rivoluzionario.
L’amore come droga che obnubila perché crea uno scollamento tra quello che crediamo di desiderare e quello che invece desideriamo davvero e che ha a che fare più con noi che con l’altro.

Lo scollamento emerge come comune denominatore di molti racconti.
La mente che si scolla sfarfalla e si affaccia a nuovi scenari possibili:
“Chi non ha mai desiderato cadere vittima dell’amore più strano che riuscisse a immaginare? Come se quello compensasse una vita di noia”.

Ed è proprio un amore inspiegabile e strano, quello che prende possesso di noi mentre ci approcciamo alla lettura di questo testo stravagante e straordinario, che scuotendoci dal consueto, ci permette di compensare decisamente una vita di noia.

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